Dopo più di un anno, non mi è ancora chiaro il motivo per il quale chiunque si aggiri per la trucida provincia newyorkese debba patire l'imperizia di parrucchieri che, in altri luoghi della terra, sarebbero probabilmente addetti alla raccolta delle foglie secche in autunno.
In tredici mesi, infatti, l'unica persona da me incontrata con un taglio di capelli degno di questo nome è stata...io-me-medesima! E solo grazie al salvifico intervento della biondissima fidanzata di Bas che, in quel dell'Olanda, si occupa di chiome televisive ed affini.
I primi parrucchieri nei quali mi sono imbattuta lavorano nel centro commerciale di Poughkeepsie e sono napoletani, o meglio, madre e padre lo sono, mentre i figli sono italiani quanto la pizza di Domino's e farebbero la loro porca figura al Jersey Shore. L'utilità di avere parrucchieri che parlino il tuo idioma natale si rende, comunque, tangibile quando devi scongiurare il pericolo che sulla tua testa venga riprodotta la stessa frangetta che avevi alle elementari. E siccome sei già contento di non avere una cofana sulla fronte, passi sopra al fatto che il taglio italo-americano ti faccia assomigliare ad un Picasso spurio....anche se ad una settimana di distanza avrai senz'altro le scatole piene di combattere, giorno dopo giorno, contro ciocche di capelli che si autocollocano in posti nei quali non dovrebbero stare.
Siccome dopo i primi tre mesi di permanenza negli States ho già collezionato una solida conoscenza del dialetto napoletano-poughkeepsiano e pure una serie di orripilanti tagli di capelli, decido a questo punto di affidarmi ad altre mani che, nella fattispecie, appartengono alla parrucchiera di fiducia di una mia collega. A tutt'oggi, non mi è ancora chiaro cosa mi abbia spinta ad andare dalla stessa tizia che ha prodotto la chioma fucsia della mia coworker, ma è chiarissimo che i venticinque dollari dati alla Yolanda, parrucchiera dominicana di Kingston, sono stati i soldi più inutilmente spesi nella storia dei tagli di capelli perché, dopo circa due ore di discussione sulla pelle grassa (rigorosamente condotta in spagnolo), nonostante uno sforbiciare attento e concentrato, sul pavimento restavano solo quattro peli ed io me ne uscivo uguale identica a prima, ma con in tasca un portafogli alleggerito ed in mano la business card della Yolanda, che voleva stringere con me e Kamalita una “amistad” internazionale. Ovviamente, la peluquera dominicana non l'ho mai più rivista e, ogni volta che passo davanti al suo negozio (cioè più e più volte al giorno), mi viene spontaneo smadonnare con malas palabras in spagnolo.
Poi finalmente è arrivata Danila, la fidanzata di Bas: bella, bionda, spiritosa, simpatica, con l'unico difetto (l'unico, davvero!) di non sciacquare i piatti adeguatamente, ma forse perché in The Netherlands si mangia con stoviglie insaponate. Bene, la Danila ha dedicato un'ora intera alla scelta del taglio, fatta mostrandomi foto di fighissime modelle olandesi e quasi altrettanto tempo alla creazione post-moderna che ha finalmente reso simmetrica l'asimmetria della mia faccia.
Dopo il ritorno in patria della parrucchiera valchiria, la sorte della mia chioma è stata altalenante, perché l'estratto conto della Bank of America mi ha sempre costretta a recarmi all'economicissimo Kingston Mall, dove il salone di parrucchieri offre asilo a tagliatori di capelli di ogni sorta e genere. La prima volta che mi ci sono avventurata, una ragazzotta cicciottella mi ha “donato”, per soli quindici dollari, un taglio di capelli che avrebbe fatto rabbrividire la Danila ma che io ho trovato dignitoso e che non mi è nemmeno costato ore ed ore delle tipiche, fastidiose domande da salone di bellezza.
Il secondo taglio al mall mi è stato inflitto da un harleysta tabagista sessantenne con i nonni italiani, che mi ha raccontato la sua vita dalla a alla zeta, cioè da quando la sua nonna si rifiutava di insegnargli l'italiano per evitargli di venire insaccato di botte dai poliziotti irlandesi a Brooklyn ai giorni nostri, contrassegnati da una vita da biker arrugginito, condotta in una casetta in legno tutta diroccata, in compagnia del suo cane. Nonostante le iniziali perplessità, dovute anche al forte odore di alcool che emanava dal mio parrucchiere, l'opera dell'italo-americano si è rivelata dignitosa e la chiacchierata più che interessante, soprattutto per la promessa di riesumare un casco per me e di portarmi in giro per l'Hudson Valley a bordo di un'Harley d'epoca. Peccato non aver più incontrato il buon uomo...
La terza volta mi è toccata in sorte una donnona tutta imbellettata e con i capelli bicolore, un po' biondi e un po' rossicci, che si è complimentata per la mia audacia nel voler sfoggiare un taglio corto ed asimmetrico e che mi ha ricoperto la testa di gel ultraresistente, utilizzatissimo anche dalle ditte di landscaping della zona.
Settimana scorsa ho deciso di aver bisogno di una spuntatina e mi sono imbattuta in un'adolescente sovrappeso che, dopo avermi inizialmente mezza tramortita con una parvenza di frangetta, ha finalmente capito il concetto di ciuffo e, in extremis, mi ha liberata dalla reliquia degli anni Ottanta-Novanta che mi stava facendo fiorire in testa.
A chi mi chiede come vedo il futuro della mia chioma, tendo generalmente a rispondere che la mia somma aspirazione sono i monaci buddisti: calvi e con la pelata bella rilucente al sole.
E, infatti, da che ho messo piede quaggiù (o quassù), il mio capello si è via via esageratamente accorciato e credo che il fenomeno sia riconducibile alla materia grigia contenuta nella mia teca cranica: forse prima dovevo riscaldare e proteggere qualche grammo di encefalo che, a seguito di mesi e mesi in terra d'Ammmerica, è stato annichilito da un environment ostile ad ogni forma di vita pensante.
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