Il festival di Sanremo è
acqua passata e pure i Grammy Awards. Qui non se li è filati
nessuno. E per forza: siamo troppo impegnati a spalare la neve e a
tentare di far sciogliere il ghiaccio davanti alla porta di casa, per
evitare di contrarre le tipiche malattie invernali, come fratture
scomposte, ecchimosi al coccige o perdita dei sensi post caduta con
conseguente assideramento.
Ogni volta che cammino su
ciò che rimane dei marciapiedi edmontoniani, penso con sollievo ai
benefits che il Castorama nordamericano mi garantisce: se mi lusso
una spalla all'incrocio tra la sessantaseima strada e la
ventitreesima avenue, infatti, pagherò solo il 20% delle spese
mediche. Olè!
Dopo quasi quattro mesi
di permanenza in terra canadese posso affermare con fierezza che il
freddo mi fa una pippa e posso portare alto il vessillo di almeno tre
categorie di persone: quelle che hanno solo un semplice strato di
pelle striminzita a coprire le proprie ossa, quelle che non si
nutrono di sostanze animali e quelle che, avendo passato i primi
giorni della porpria esistenza in incubatrice, hanno sempre avuto un
po' di inconscia nostalgia per quel calduccio artificiale. E quindi
no, le mie ossa non si stanno frantumando per il freddo, no, non è
necessario nessun substrato proveniente da altri animali per
sopravvivere degnamente e sì, i sacchettini per il caldo istantaneo
possono talvolta essere un succedaneo dell'incubatrice.
Per descrivere la mia
progressiva canadesizzazione, basti dire che, in quei rarissimi
giorni in cui la temperatura si aggira sui -5°C, io sudo per la
caldazza e lascio deliberatamente a casa guanti, cappello e sciarpa,
mentre nella tempesta di neve più molesta io passeggio allegramente
gustandomi uno smoothie vegan ghiacciato. Sono talmente canadese che
a -28°C (-43 quelli percepiti!), gli unici eventi “ostili”
registrati dal mio bizzarro organismo sono stati il congelamento dei
peli del naso e del mio respiro sugli occhiali. Ma tanto, se cado a
causa della cecita, mi copre Castorama!
La mia progressiva
acclimatazione all'habitat siberiano può essere confermata da quel
barbaro* canadese che da qualche mese fa coppia con me...mentre al
primo appuntamento ha dovuto recuperarmi, ibernata e quasi comatosa,
nell'atrio di una TD Bank a soli -10°C, ora sono io che lo incito ad
andare a pattinare su piste di ghiaccio all'aperto a temperature
impossibili. Sono confidente nelle mie possibilità e so che
prestissimo riuscirò ad emularlo e ad uscire di casa senza nemmeno
abbottonarmi la giacca o addirittura in maniche di camicia. Per ora
ho pascolato i suoi cani in piagiana nel mezzo di un blizzard (o
bufera di nve) senza battere ciglio.
E se gli autoctoni,
ostinandosi a credere nell'arrivo della primavera, iniziano a fare
incetta di sementi e terriccio per l'orticello casalingo, io mi
accingo a comprare una bicicletta con la quale sfrecciare per strade
la cui segnaletica è totalmente nascosta da una solida patina
marroncina di materiale ghiacciato. E intanto continua a nevicare,
nevicare, nevicare, nevicare...perciò mi fa strano leggere di amici
e parenti in Italia che si lamentano per una leggera spolverata
biancastra e addirittura mi sembrano principianti i miei amici nello
stato di New York quando mi dipingono scenari apocalittici per
descrivere tre giorni di neve. Qui, ah bbbelli, la neve manco
sappiamo più dove mettercela! Ne abbiamo talmente tanta che le
corsie delle strade misurano circa la metà della dimensione
originaria, perchè nel corso dei mesi gli spalaneve ne hanno
accumulata così tanta ai lati delle carreggiate che ci si potrebbero
organizzare gare di snowboard cittadino. E siccome in Canada non
sanno proprio che fare per evadere dalla noia del luuuungo inverno, i
bambini locali si dilettano ad organizzare atroci scherzi ai danni
dei compagni più sprovveduti, scherzi che in gran parte del mondo
conosciuto non sarebbe possibile effettuare. E mi riferisco al famoso
trucco del “lecca il cancello”, dove un ingenuo ragazzetto viene
convinto a leccare cancellate di metallo a -20°C con la drammatica
conseguenza di una lingua attaccata al cancello dei vicini. Questo è
ciò che si può definire un'infanzia infelice ed è la chiara
origine del dilagare di una vera e propria piaga sociale come il
whiskey all'acero, un'aberrazione che dà la stessa sensazione che
darebbe bere dei pancake liquefatti con troppo zucchero. Credo che la
mancanza di luce solare porti ad abnormi effetti collaterali...
Intanto, l'hockey ha
ripreso il suo normale corso, per la gioia di Larry che ha passato i
primi tre mesi di convivenza smadonnando contro quegli avidi
giocatori dei ghiacci che, per ottenre un aumento su paghe già
stratosferiche, erano entrati in sciopero sottraendo ai canadesi
l'unico vero divertimento, a parte lo sci ed il curling. Ora
purtroppo mi tocca spararmi una partita a sera e lo scenario è più
o meno sempre il medesimo: Larry che urla e strepita, Larry che
mangia cibi untissimi per via dello stress da partita, larry che si
addormenta, gli Oilers che perdono, Larry che si risveglia, apprende
della disfatta e inizia ad inveire. Il tutto mentre i gatti osservano
con malcelata aria di superiorità.
In questo preciso momento
pare che gli Oiles siano in vantaggio sui Minnesota Wild e guai a
fiatare, ché il Larry non va disturbato.
Domani è previsto sole e
-10°C...quasi quasi lascio a casa guanti e sciarpetta!
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