Kamalita e Sushil, un
amico indiano, si offrono di accompagnarmi alle 4 del mattino ma,
siccome il suddetto Sushil ha giustamente sonno, mi devo
autotrasportare, guidando per due ore un mega suv secondo le ingarbugliate indicazioni
stradali indo-nepalesi...inutile dire a momenti perdo l'aereo.
Dopo le drammatiche scene
di congedo (ormai è appurato che io abbia qualche problemuccio con
gli arrivederci), m'imbarco per Calgary con una tale espressione da
deportato, che riesce addirittura ad impietosire la glaciale addetta
al body scan, strappandole un compassionevole sorriso di solidarietà.
Sull'aereo vengo colta da
un attacco di panico quando noto che sul display è indicata come
destinazione FORT McMURRAY, nel nord che più nord non si può
dell'Alberta. Sconvolta, mi guardo intorno, cercando conforto negli
altri viaggiatori, ma tutti dormono, così mi faccio coraggio e arranco fino alle hostess, le quali stanno lavorando a maglia (!!!)
negli ultimi sedili del velivolo. Pallida e tremolante, chiedo loro
se, in effetti, stiamo davvero andando a Calgary oppure a congelarci
le chiappe tra gli Inuit e loro, serafiche, mi dicono “grazie sweetie
per avercelo fatto notare! Quel computer fa le bizze...adesso lo
sistemiamo”. Bene! Ritorno al mio posto con dei forti dubbi sulla
sicurezza delle compagnie aeree canadesi, ma tranquilla rispetto alla
destinazione.
Dopo un piacevole volo
allietato da amene conversazioni con affabili canadesi (e già mi
mancano gli spacciatori di crack di Poughkeepsie...), sbarco a
Calgary, dove mi tocca aspettare un'ora e passa per la coincidenza,
dato che una tempesta di neve sta causando ritardi su ritardi. Quando
finalmente ci imbarcano su un trabiccolo degli anni Settanta, largo
due metri e lungo 5 (tanto che il mio trolley non ci sta in stiva!),
noto di essere l'unica donna a bordo, a parte la grezzissima hostess,
in mezzo a rudi lavoratori del petrolio. A questo punto mi è palese come forse io non stia
esattamente andando a vivere in una meta turistica tra le pù
gettonate.
Con i potentissimi mezzi di
trasporto locali, ci metto circa tre ore a raggiungere la ridente
località di Spruce Grove, paesotto a nord della città, dove una
famiglia pachistana mi attende. E come ci sono finita io nei
sobborghi di Edmonton? Semplice, dal momento che non riuscivo a
trovare nessuna stanza in affitto, a parte a casa di un tizio
psicolabile che mi ha tenuta in ballo per due settimane, mi sono
rivolta al collega pachistano di Kamalita il quale, guarda caso, ha una
sorella che vive nei dintorni di Edmonton. Siccome tale
collega ha un debole per me (alla faccia di moglie e figli...) al mio
arrivo non solo dispongo di una camera ma anche di un potenziale
lavoro...nella gelateria di famiglia! L'idea di vendere gelati quando si hanno
medie di -12°C potrebbe parere aberrante ai più ma, dopo aver
passato due giorni in compagnia di una filippina a dispensare ice
creams ai canadesi, ho dovuto riconsiderare il mio punto di vista: la
gente ama avere la stessa temperatura sia esternamente che
internamente. Questa è l'unica spiegazione possibile.
La mia love story con la
provincia edmontoniana è tristemente terminata dopo circa tre giorni
di via crucis pedonale nei ghiacci e le principali cause della
rottura sono appunto da ricondursi alla totale assenza di mezzi
trasporto che non solo mi obbligava ad andare alla gelateria
camminando per mezz'ora nella tormenta, ma mi avrebbe perennemente
bloccata a Spruce Grove per tutto il week end, dal momento che quei
due o tre autobus che collegano la cittadina ad Edmonton, vengono
sospesi durante il week end.
Ed è così che, tramite
un drammatico annuncio su craiglist, il Larry è venuto a raccattarmi
per portarmi in città...ma questa è un'altra storia...
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