venerdì 9 novembre 2012

Dispacci dai ghiacci - lo sbarco!

L'avventura canadese inizia con una folle corsa all'alba verso Newark, un po' la Orio al Serio di New York...cioè, si trova in New Jeresy, ma tutti si ostinano a definirlo “aeroporto di NYC”.
Kamalita e Sushil, un amico indiano, si offrono di accompagnarmi alle 4 del mattino ma, siccome il suddetto Sushil ha giustamente sonno, mi devo autotrasportare, guidando per due ore un mega suv secondo le ingarbugliate indicazioni stradali indo-nepalesi...inutile dire a momenti perdo l'aereo.
Dopo le drammatiche scene di congedo (ormai è appurato che io abbia qualche problemuccio con gli arrivederci), m'imbarco per Calgary con una tale espressione da deportato, che riesce addirittura ad impietosire la glaciale addetta al body scan, strappandole un compassionevole sorriso di solidarietà.
Sull'aereo vengo colta da un attacco di panico quando noto che sul display è indicata come destinazione FORT McMURRAY, nel nord che più nord non si può dell'Alberta. Sconvolta, mi guardo intorno, cercando conforto negli altri viaggiatori, ma tutti dormono, così mi faccio coraggio e arranco fino alle hostess, le quali stanno lavorando a maglia (!!!) negli ultimi sedili del velivolo. Pallida e tremolante, chiedo loro se, in effetti, stiamo davvero andando a Calgary oppure a congelarci le chiappe tra gli Inuit e loro, serafiche, mi dicono “grazie sweetie per avercelo fatto notare! Quel computer fa le bizze...adesso lo sistemiamo”. Bene! Ritorno al mio posto con dei forti dubbi sulla sicurezza delle compagnie aeree canadesi, ma tranquilla rispetto alla destinazione.
Dopo un piacevole volo allietato da amene conversazioni con affabili canadesi (e già mi mancano gli spacciatori di crack di Poughkeepsie...), sbarco a Calgary, dove mi tocca aspettare un'ora e passa per la coincidenza, dato che una tempesta di neve sta causando ritardi su ritardi. Quando finalmente ci imbarcano su un trabiccolo degli anni Settanta, largo due metri e lungo 5 (tanto che il mio trolley non ci sta in stiva!), noto di essere l'unica donna a bordo, a parte la grezzissima hostess, in mezzo a rudi lavoratori del petrolio. A questo punto mi è palese come forse io non stia esattamente andando a vivere in una meta turistica tra le pù gettonate.
Ad Edmonton fa, ovviamente, un freddo becco e nevica. Nessuna traccia del sole. 
Con i potentissimi mezzi di trasporto locali, ci metto circa tre ore a raggiungere la ridente località di Spruce Grove, paesotto a nord della città, dove una famiglia pachistana mi attende. E come ci sono finita io nei sobborghi di Edmonton? Semplice, dal momento che non riuscivo a trovare nessuna stanza in affitto, a parte a casa di un tizio psicolabile che mi ha tenuta in ballo per due settimane, mi sono rivolta al collega pachistano di Kamalita il quale, guarda caso, ha una sorella che vive nei dintorni di Edmonton. Siccome tale collega ha un debole per me (alla faccia di moglie e figli...) al mio arrivo non solo dispongo di una camera ma anche di un potenziale lavoro...nella gelateria di famiglia! L'idea di vendere gelati quando si hanno medie di -12°C potrebbe parere aberrante ai più ma, dopo aver passato due giorni in compagnia di una filippina a dispensare ice creams ai canadesi, ho dovuto riconsiderare il mio punto di vista: la gente ama avere la stessa temperatura sia esternamente che internamente. Questa è l'unica spiegazione possibile.
La mia love story con la provincia edmontoniana è tristemente terminata dopo circa tre giorni di via crucis pedonale nei ghiacci e le principali cause della rottura sono appunto da ricondursi alla totale assenza di mezzi trasporto che non solo mi obbligava ad andare alla gelateria camminando per mezz'ora nella tormenta, ma mi avrebbe perennemente bloccata a Spruce Grove per tutto il week end, dal momento che quei due o tre autobus che collegano la cittadina ad Edmonton, vengono sospesi durante il week end.
Ed è così che, tramite un drammatico annuncio su craiglist, il Larry è venuto a raccattarmi per portarmi in città...ma questa è un'altra storia...

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