lunedì 30 gennaio 2012

Banalità da teenager

Gli eventi (e probabilmente anche una carenza di vitamina B12) mi hanno travolta e da tempo immemore non aggiorno questo blog...verguenza!
Mentre combatto con la gatta Fleasa che, a colpi di coda in bocca, tenta di farmi morire soffocata, mi accingo quindi a proporre un agile elenco dei principali accadimenti degli ultimi mesi, di modo che tutti possiate essere rassicurati circa la banalità della mia vita da teenager americana.
  • Crazy pajamas at Wal-Mart: fin dagli albori del nostro insediamento nella terra dello Zio Sam, abbiamo iniziato a vagheggiare un'incursione notturna nel mega supermercato più popolare d'America, vestiti di tutto punto in tenuta pigiamosa.
    Il Wal-Mart è un gigantesco contenitore di cibo ogm e di prodotti made in China di dubbia qualità, dove l'americano medio trascorre una percentuale spaventosamente alta della propria vita, vagando, con occhio vitreo e maniglie dell'amore strabordanti da t-shirt troppo piccole, sui propri piedi o sulle graziose motorette messe a disposizione dal supermercato, tra scaffali stracolmi di junk food,. Ciò che maggiormente impressiona l'immigrato alle prime armi è l'incredibile quantità di casi umani in cui è possibile imbattersi nelle corsie del Wal-Mart e il dress code che regna sovrano in quel posto: se sei ben vestito, mercenari appena tornati dall'Iraq ti si avventeranno contro e ti preleveranno con la forza per gettarti, lacero e contuso, nel parcheggio di fronte, a ricordarti che questa non è la patria di Prada e nemmeno di Dolce e Gabbana. Quindi, baldi e fieri, in una notte di novembre piuttosto freddina, dopo una cena a base di digeribilissimo cibo indiano, ci siamo recati in spedizione al Wal-Mart, vestiti di tutto punto con pigiama e pantofole, sicuri di fare la nostra porca figura sulla scena di Kingston. Senonché, con nostro immenso disappunto, nessuno, e dico nessuno degli avventori presenti ha voltato la propria testa per ammirare la stramba delegazione internazionale del pigiama, composta da due italiane, una nepalese, due americani, una boliviana, un honduregno, una coreana, una costaricana, una giapponese e un marocchino. L'unica persona che ci ha degnati di attenzione è stata la guardia in borghese del supermercato (forse un ex mercenario), che ci ha gentilmente pregati di non fare fotografie all'interno del Wal-Mart.
  • Tequila natalizia: viviamo in paese dove alberi di Natale e lucine colorate fanno bella mostra di sé tutto l'anno, orgogliosamente dimenticati nei giardinetti o sulle verande. Quaggiù ho visto cose che voi umani scampati al Natale a stelle e strisce non potete immaginare nemmeno nei vostri peggiori incubi: cortili saturi di pupazzoni gonfiabili a forma di Frosty-l'omino di neve o di Santa Claus; ghirlande di vischio pacchianamente infiocchettate appese ad ogni porta o ad ogni cosa vagamente rassomigliante ad una porta; nei centri commerciali, imbarazzanti code chilometriche di mamme pronte a schiaffare bambini ululanti in braccio a babbi natali dalla dubbia sobrietà, per il rito della foto con Santa; highways ingorgate da suv con immensi alberi di natale legati sul tetto; famiglie di ogni colore impilate una sull'altra per effettuare acquisti natalizi che verranno pagati a rate, nella migliore tradizione americana.
    Nella nostra f***ing casa accerchiata da spacciatori di crack e venditori di armi, Nata, baluardo dello spirito natalizio, ha prodotto per partenogenesi un tisico alberello plasticoso ed un quadrittico di calze rosse appese con delle puntine alla parete della sala da pranzo. Io e Fagiolo abbiamo fatto spallucce a mo' di menefreghisti Scrooge, mentre è stato davvero difficile spiegare a Kamalita il significato del Natale: basti dire che la mia piccola nepalese è rimasta scioccata dalla vista del primo vecchiardo conciato da Santa Claus, incrociato al centro commerciale. Perché mai un tizio di quell'età, vestito da bischero, si diletta ad approcciare bambini obesi al Kingston Plaza?!?
    Il giorno di Natale è stato degnamente festeggiato con un party dove la comunità sudamericana di Poughkeepsie ha potuto deliziarsi con le prelibatezze che io e Fagiolo (orfani del capo chef Kamalita, incastrata al lavoro) abbiamo sfornato in due giorni di convulsi e stressanti spignattamenti. I ricordi legati alla festa natalizia sono contrassegnati, oltre che dal pessimo cibo, da una quantità mai vista di birra e tequila (ma quanto bevono i messicani?) che ci ha fruttato fior di dollari in termini di lattine e bottiglie portate da Hannaford per il riciclo, dalla nuova pettinatura punk di Fagiolo che, volendo tagliarsi i capelli da solo, ha creato un effetto tipo-alopecia sul cranio (ed è per questo che, in tutte le foto di Natale, indossa un tristo cappellino da baseball), dal rito del regalo-schifezza con scambio di rotoli di carta igienica e mie orride foto impacchettati e da imbarazzanti performance di salsa, merengue e bachata in un club latino di terz'ordine a Poughkeepsie. Laggiù Kamalita ha dato prova di avere nelle proprie vene qualche goccia di sangue sudamericano, mentre io e Fagiolo ci siamo pestati i piedi a vicenda, cercando di attribuire la nostra inettitudine alla tequila. Nel frattempo, Nata si lasciava alle spalle l'Hudson ghiacciato per abbracciare la calda San Francisco.
    Del ritorno a casa ricordo solo di essermi seduta un attimino sul divano, con ancora scarpe e cappotto addosso e di aver fatto finta di ascoltare per un po' un amico marocchino che mi raccontava la propria vita. Poi ho aperto gli occhi di nuovo ed era mattina. Una devastante mattina nelle macerie del post party.
  • Ultimo dell'anno nel perso: metti che un gruppo di persone totalmente sprovviste di ogni capacità organizzativa decida di recarsi a New York per l'ultimo dell'anno ed aggiungi pure un'imbarazzante deficienza comunicativa: otterrai il nostro trentun dicembre nella Grande Mela quando, dopo aver imbastito una battaglia a pallette di carta sul treno da Poughkeepsie, abbiamo iniziato una peregrinazione senza meta per le vie di Manhattan gremite di americane seminude ed americani intenti a sembrare eleganti e sobri. Questo vagare nel perso ci ha portati a festeggiare la mezzanotte in una strada ignota nei pressi di Times Square, per raggiungere la quale sarebbe stato necessario sgomitare con orde di gente incattivita a partire dalle undici del mattino, o prima. Ma la parte più bella della serata è stata l'agghiacciante scoperta del fatto che nessuno di noi volesse davvero andare alla City ma ciascuno di noi pensasse che gli altri lo volessero...in realtà il comune, inconfessato, desiderio consisteva nel classico ultimo dell'anno a colpi di cerveza y tequila nella nostra casa pulciosa. Il degno epilogo della serata si è consumato in un diner di Poughkeepsie, dove ho avuto il piacere di consumare il mio primo piatto di patatine dolci fritte del 2012.
    Hasta il 2012!