sabato 10 ottobre 2015

Alla mia mamma nel giorno del suo genetliaco

Oggi e' il compleanno della mia mamma. Settant'anni. Madonna.
Lasagne, torta e spumante d'ordinanza con padre e gattacci vari raccimolati qua e la' per festeggiare la sciura Angela nel giorno del suo genetliaco. E io, dall'altra parte del mondo, mi guardo due foto scannerizzate anni fa.
Nella prima, mia madre mi porta in braccio ed e' piu' giovane di me ora.
Io ho pochi mesi e indosso un vestitino che, anni dopo, usero' per vestire le mie bambole. Ovviamente non ricordo nulla di allora, ma voci di corridoio mi parlano di come la prima parola da me detta a mia madre sia stata “no!”. Fin da allora si delineavano i contorni del nostro rapporto, d'amore e d'opposizione. Credo che alcuni vicini di casa della mia infanzia si ricordino ancora le scene di dramma familiare all'ora di cena quando mia madre, donna in carriera, stanca dopo ore interminabili di lavoro in citta' tornava a casa per spadellare delizioso cibo che io, puntualmente, rifiutavo col mio famoso “no!”. Gli scenari della nostra quotidianita' erano, in quel frangente, principalmente tre: se mia madre era in buona, cercava di giocare sul mio senso di colpa, fingendosi vittima di un incantesimo paralizzante che avrebbe potuto essere sciolto solo con la consumazione da parte mia della portata in questione; se la sciura Angela si sentiva energetica, allora ci si esibiva in rincorse per il cortile del condominio, dove i vicini di casa tifavano per me, incitandomi a correre piu' veloce di quella povera donna brandente una forchetta; se, infine, mia madre ne aveva le scatole piene, poteva succedere che il cibo, ormai freddo e molliccio, finisse direttamente in testa alla sottoscritta (e ancora ne rido). Tuttavia, la legge del Karma sta rimettendo le cose al proprio posto, perche' adesso sono io a dover fingere incantesimi et similia per convincere a mangiare gli utenti con i quali lavoro.
La seconda foto ci ritrae alle prese con il mitico slittino di legno nell'inverno del 1985, quello della leggendaria nevicata da guinness. Mia madre, che ama sciare e stare all'aria aperta, ha cercato di fare di me una persona attiva, amante degli sport invernali, ma la mia istintiva tendenza al “no!” mi ha portata, nel corso degli anni, a ripudiare tutto cio' che fosse freddo, nevoso o ghiacciato, con buona pace dei soldi spesi per lezioni di sci e pattinaggio su ghiaccio. L'ironia della vita mi ha portata a vivere in Canada, proprio in una delle province piu' fredde e nevose della nazione, alla faccia dei miei recalcitranti no. Il Karma ha colpito ancora, I guess.
Se avessi altre foto, sarebbero quella di mia madre con i pantaloni a zampa d'elefante negli anni '70 ed un paio di zeppe che, anni dopo, ruppi nel corso di un festeggiamento postumo del compleanno di Freddie Mercury con i miei compagnucci d'avventura, quando bevemmo latte in bicchieri di cristallo ottenuti da mia madre tramite raccolta punti al locale Despar (all'epoca il veganismo c'era ignoto). Ci sarebbe anche la foto di noi sulle Dolomiti, mia madre spavalda e ancora giovane, io decenne sfatta da ore di nauseabonda via crucis in macchina su per i tornanti del Trentino, nel corso della quale veniva sperimentata l'innovativa tecnica del “fai finta di guidare, Laura! Vedi che non ti viene il vomito!”, sulla quale rimangono opinioni contrastanti e il ricordo degli sguardi curiosi degli altri automobilisti per una bimba in preda ad allucinazioni da travelgum. L'altra foto che avrei e' quella che ritrae me e mia madre vestite entrambe in tuta ginnica rossa anni '80, mentre partecipiamo ad una corsa campestre nei boschi del paesiello natio. Questo reperto fotografico immortala gli istanti precedenti alla mia inconsapevole fuga, quando la mia ben nota capacita' di essere distratta dalle piu' banali quisquiglie mi porto' ad imboccare il percorso dei dieci chilometri in un attimo di distrazione di mia madre, che era invece lanciata per quello da cinque. Dopo aver gloriosamente portato a termine la corsa, assieme a totali estranei, forse leggermente incuriositi da questa bambinetta in solitaria, mi ricordo ancora la faccia dei miei genitori che, con un misto di indicibile sollievo e ira funesta, mi riportarono a casa in bicicletta per evitare ulteriori fughe podistiche.
Tante altre foto vorrei avere ora, anche quelle che non sono state scattate e che immortalano i compiti e le tavole d'arte fatti insieme a mia madre fino a notte fonda, le sere passate a guardare il “Drive in” in televisione, alla faccia dei genitor bacchettoni che ne vietavano la visione ai figli, i pranzi della domenica, che non era ammissibile perdere anche se abitavo gia' a Milano, gli addobbi (di casa e addirittura di gatti) per quando tornavo a casa dopo aver superato un esame, quella volta che presi nove meno in greco e mia madre punto' il dito su quel meno, le volte che ha cercato di insegnarmi a stirare, a cucire, a fare a maglia, a fare giardinaggio, a capire come si leggono libri contabili ed affini, ecco, tutte quelle volte che avrei dovuto ascoltare e, invece, seguendo il mio anarchico spirito del “no!” ho rifiutato d'imparare. E adesso, ad anni e chilometri di distanza, mi rendo conto di quanto di mia madre ci sia in me, a discapito di tutte le negazioni e di tutti i piatti di riso rovesciati in testa..
Buon compleanno, mamma!

domenica 8 febbraio 2015

Pollo forever!

San Valentino è vicino. Sembra una minaccia, resa concreta da orde di peluches dagli occhi languidi e di oggetti cuoriciosi di ogni tipo, nonché da tonnellate di cioccolatini zuccherosi che indiabetiscono la mia ben nota avversione per le romanticherie.
Il povero Pollo, a dispetto del soprannome di Barbarian, è invece un romanticone di prima categoria e, nonostante minacce di rappresaglia da parte mia, si è già presentato a casa con Elsa, un peluche a forma di elefante dagli occhi tristi tristi.
Ma la romanticheria del Pollino ha toccato il culmine quando, a Roma, ha cambiato il corso degli eventi di una vita apparentemente nata sotto il segno dello zitellaggio (la mia!) e mi ha chiesto di sposarlo (sì, cacchio!).
Ma vediamo come si sono svolti gli epici eventi della dichiarazione...
Con destrezza da spia russa, a Venezia il PiccoloPollo mi aveva segretamente acquistato un anello plasticoso giallo che, a parer suo, ben s'intonava alla mia personalità e, a questo punto, dopo giorni e giorni di influenza gastrointestinale, probabilmente anche al mio colorito. Il suddetto pegno d'amore era però stato rubato a Tiburtina da ladri poco portati per analisi di mercato e definizione del target e le cui fidanzate si staranno sicuramente disputanto il mio pregiatissimo monile.
I piani di Pollo per la proposta matrimoniale prevedevano una romantica gita alla Fontana di Trevi, con bacio a casqué tra folla plaudente e MammaCanadesia in lacrime. Peccato che il Comune di Roma abbia deciso di dare una ritoccatina alla famosa fontana, che all'epoca dei fatti appariva prosciugata dell'acqua, impacchettata per bene ed attraversata da una sorta di passerella dei pirati sulla quale una mesta fila di turisti faceva la propria traversata a mo' di galeotti in catene.
Ma il mio Barbarian non è tipo da arrendersi di fronte alle avversità della vita e così, approfittando di un mio allontanamento dovuto ad una momentanea debolezza da saldi, zitto zitto mi ha acquistato un anello fake made in Murano (probably made in China), tipo quelli che compravamo col Cioè e che si possono stringere o allargare a seconda della dimensione del dito.
A questo punto, insistendo sul valore artistico della passerella sulla fontana vuota ed impacchettata, il Pollino mi ha spinta ad unirmi alla fila di turisti polacchi in procinto di compiere la traversata e, siccome pare ci siano una faccia ed un contegno da proposta matrimoniale, ha iniziato a sfoggiare una serietà da funerali di stato, tanto da farmi pensare “ecco, adesso questo mi molla”.
...e invece no!
A metà fontana ecco che tira fuori l'anellino del Cioè e mi chiede di sposarlo!
Ovviamente, nell'eccitazione del momento e nel tentativo del famoso bacio a casqué, io e Pollo inavvertitamente blocchiamo la fila di turisti dietro di noi, tanto che, da sotto, si ode il fischio con rimbrotto della guardia il cui compito è assicurare la fluidità della coda. E noi, un po' mortificati e un po' romanticosi, percorriamo la restante parte della passerella dei pirati correndo tutti rossi in faccia e cercando di non inciampare in pezzi malfermi di cemento. Quando mostro a MammaCanadesia il mio anello di fidanzamento, non credendo alla notizia, se ne esce con un esilarante “spero tu non sia allergica ai metalli da quattro soldi”. Inutile dire che mia madre e mio padre stanno ancora ridendo per l'intera vicenda (e probabilmente anche perchè finalmente qualcuno mi piglia).
Un paio di ore più tardi, andiamo a festeggiare in una strana taverna gestita da un signore di circa ottocento anni e qui mi accorgo che il pregiato anelluccio è di impossibile rimozione perchè il mio amato, nella foga del momento dichiaratorio, me l'ha eccessivamente stretto attorno all'anulare. Mentre progetto tentativi di salvataggio di anello e dito con chili di sapone, il buon Pollo fa lo sborone e decide di darmi prova delle sue abilità da Houdini e così, armato di due coltelli da tavola, fa del suo meglio per sfilare il pegno di fidanzamento. Pochi secondi più tardi, stiamo tutti e tre contemplando lo sdoppiamento del mio anello che, ovviamente, non ha retto alla delicatezza del tocco barbarico e che ora è un pegno d'amore in due parti, la cui unicità me lo rende ancora più caro, salvandomi al contempo dal doverlo indossare, olè!
Siccome io e Pollino siamo due couch potatoes, ovvero due esseri pigri ed indolenti, probabilmente ci sposeremo sul divano di casa nostra tra dieci anni, o forse invece organizzeremo un matrimonio a tema dove gli invitati dovranno vestirsi da personaggi storici canadesi. L'importante è che, matrimonio o non matrimonio, siamo davvero la sola ed unica Pollo Family on the planet!

domenica 25 gennaio 2015

Pollo&MammaCanadesia alla scoperta dell'Italia


Eccoci qui, ritornati nella lovely, lovely Edmonton dopo tre settimane di furore in Italia, dove la famiglia canadese (Pollo&MammaCanadesia) ha potuto incontrare quella italiana, nell'ambito del progetto internazionale “ammazza quanto ce piasce la lasagna (vegan)”.
Il tour ha avuto inizio con la fuga dal Canada in una tipica giornanta glaciale edmontoniana, durante la quale l'entusiasmo del viaggiatore è incredibilmente rimasto intatto per tutte le venti ore di peregrinazione tra Nord America ed Europa, nonostante agenti doganali poco “friendly”, nonostante la sindrome da sedere piatto e nonostante l'herpes di dimensioni bibliche che mi compare ogni volta che ritorno in patria.
A Milano, il comitato di benvenuto ha egregiamente introdotto la Canadian Family agli usi e costumi locali, come il parcheggiare in divieto di sosta per poi contrattare coi vigili su possibili multe, la guida sportiva a scossoni nel traffico milanese, lo stipare in macchine ridicolmente piccole cose e persone che le leggi della fisica vorrebbero in spazi molto più ampi. A tutto ciò, mia madre ha aggiunto un tocco distintivo: l'attentato alla vita di mio padre, spinto a velocità supersonica su di una carrozzina del '15-'18, mentre il pubblico canadese assisteva basito. Letterale commento di MammaCanadesia "Italians are crazy".
La permanenza dai miei è stata scandita da visite di amici e parenti con diversi livelli di padronanza della lingua inglese ma tutti contraddistinti dall'incredibile voglia di comunicare con Pollo e MammaCanadesia e tutti propensi al rituale del bacio&abbraccio, usanza non molto diffusa qui in Ghiacciolandia, dove il toccare il tuo interlocutore “Italian style” ti fa passare per maniaco e libidinoso. Oltre allo tsunami amico-parentale, i due poveri canadesi sono stati investiti pure da quello culinario, che ha reso vero e tangibile lo stereotipo del “mangia, mangia!” e che ha trasformato pranzi e cene in interminabili riti di iniziazione alla cucina locale (in chiave vegan) e all'uso di bevande alcoliche durante i pasti, tabù in Nord America. La pennichella postprandiale è diventata consuetudine consolidata soprattutto grazie a mia madre che, con premura materna e sguardo rapace, attendeva che il duo si sedesse sul divano per coprirli con la copertina da riposino con tanto di sigillatura dei piedi a mo' di fagottino.
Per far apprezzare il Bel Paese a MammaCanadesia, che non è praticamente mai uscita dal Canada, io e Pollo abbiamo deciso di organizzare delle spedizioni a Venezia, Roma e Napoli. Ovviamente, le nostre doti organizzative e di gestione del tempo ci hanno portati a pianificare il tutto all'incirca la notte prima della partenza, conferendo alle circostanze una nota, come dire, di suspance ed un'aura da bettole di quart'ordine raccattate online.
A Venezia tutto è filato liscio: ottimo ostello, cibo decente, tempo non troppo schifido. In più, abbiamo trovato due guide d'eccezione in Gabry e Guido che, a colpi di vinello, ci hanno fatto perdere, ops, immergere nella Venezia più famosa così come in quella meno nota.
L'avventura romana è stata un po' più complicata...tipo che a due nanosecondi dall'arrivo a Tiburtina lascio Pollo da solo per cinque mintuti al bar della stazione e, al ritorno con espresso in mano, lo ritrovo derubato del suo bagaglio. Connotati e mole da nordamericano lo hanno reso un visibile bersaglio per i borseggiatori, che hanno utilizzato il noto schema ”uno lo distrae e l'altro lo deruba” e che e, contando su un'agilità un poco migliore di quella del mio Barbarian da 150 kg, lo hanno seminato alla prima rampa di scale, dopo un inseguimento alla Benny Hill.
Quest'episodio ha messo in risalto una delle principali differenze culturali tra italiani e canadesi: loro si fidano della gente, noi ci fidiamo della nostra mano sul portafogli. Nonostante li avessi messi in guardia da quisquilie come borseggi, truffe et similia, anni ed anni di porte lasciate costantemente aperte, di autobus dove non ti devi aggrappare alla borsetta, di paesi dove non ti rubano la macchina manco se la lasci accesa con chiavi inserite, hanno reso i miei canadesi due individui troppo fragili per sopravvivere indenni alle metropoli nostrane. Grazie al cielo, nello zainetto sottratto con l'inganno al povero Pollo c'erano praticamente solo i suoi vestiti, con i quali i borseggiatori avranno probabilmente confezionato delle tende, ma per sostituire i quali abbiamo sacrificato una giornata intera e 200 e passa euri in un negozio di taglie forti zona Vaticano, dove la XXL nordamericana viene venduta come una XXXXXL italiana, a beneficio dell'autostima di Pollo
A parte questo spiacevole evento iniziale, il dream team se l'è spassata alla grande nella capitale e la mitica Rosse' ci ha pure introdotti ai segreti della muratura dell'antica Roma...ammazza! Pollo è addirittura riuscito a resistere all'invitante richiamo dei venditori ambulanti e non ha acquistato nessuno selfie stick né alcun orrido dipinto, tipo quello che, comprato in piazza Navona da un artista di strada, ancora giace negletto in qualche polveroso angolo del nostro garage a Edmonton e forse vedrà di nuovo la luce sulla parete del bagno.
Prima di approdare a Napoli, ho esercitato un po' di terrorismo psicologico sul duo canadese, giusto per prepararli all'evenienza di ulteriori borseggi. La mia notoriamente pessima capacità di previsione ha però fatto sì che Pollo e MammaCanadesia si ritrovassero “scoperti” sul fronte “guerriglia stradale urbana partenopea”, e tale miopia li ha resi più vulnerabili di un pacifista hippie per sbaglio lanciato in Vietnam in un giorno a caso degli anni Sessanta. Dopo aver infatti rischiato molteplici volte di essere stirati da vari tipi di veicoli su marciapiedi, in aree pedonali e credo anche nel corso dei loro sogni notturni, i miei due canadesi hanno decretato che Napoli non faccia per loro e che dovrebbe essere classificato come crimine contro l'umanità l'importare in un ambiente dalla densità umana di un formicaio affollato delle persone abituate a vivere in una nazione che ospita trentacinque milioni di abitanti su una superficie più grande dell'Europa.
I ricordi che si portano a casa da Napoli sono la folla oceanica per il tributo a Pino Daniele, il letto rotto dal Pollo all'ostello ammuffito dove alloggiavamo e una foto ricordo indelebilmente stampata nella loro memoria di una famiglia di tre persone tutte allegramente a bordo di un minuscolo motorino, senza casco e con un barboncino bianco in braccio.
Sul treno Napoli-Milano il sollievo dei Canadians era palpabile...peccato che poi abbiano provato a truffarli pure sul Malpensa Express, aaah!
Il ritorno nella waste land edmontoniana ci è costato altre ottomila ore di viaggio, tre check-in e interminabili chilometri macinati all'interno di aeroporti vari, mentre la depressione post Italia è stata affrontata a suon di vinello e taralli comprati all'Italian Center locale e con sessioni di pet therapy con Phelony, reduce da tre settimane di vacanze dallo zio ed un'aggressione ad un cervo decorativo nel giardino dei vicini.
Adesso ci aspettano i preparativi per un altro viaggio, ma questa è un'altra storia...

martedì 3 settembre 2013

Dispacci dai ghiacci - Una gioiosa coabitazione


Paese tranquillo, il Canada. La porta di casa non viene mai chiusa a chiave, sul pullmann nessuno si guarda attorno con sospetto, ancorando il portafogli alla tasca dei pantaloni, nessuno intravede nell'altro un potenziale pluriomicida o un ladro incallito. Nessuno, tranne l'italiano trapiantato a nord che, nonostante nulla qui gli sia mai stato sottratto o nessuna aggressione sia mai stata perpetrata ai suoi danni, si ostina tuttavia a scorgere pericoli e incipienti crimini in ogni dove.
E questo, in effetti, è il mio caso. La diffidenza tipica di chi viaggia sulla 90 a Milano o di chi ha subito il furto di decine di biciclette permea il mio essere talmente profondamente che nemmeno in questa pacifica landa ghiacciata riesco a prendere un mezzo di trasporto senza controllare lo zaino o a fantasticare di possibili serial killers in agguato tutte le volte che il mio Barbaro Canadese va a letto senza chiudere la porta di casa (il che avviene praticamente ogni sera).
Sebbene sia stata più e più volte sbeffeggiata per questa mia propensione alla previsione di crimini mai avvenuti, le mie doti da Cassandra hanno, finalmente e una volta per tutte, messo a tacere i candidi canadesi e il loro innocente sguardo sul mondo.
Il tutto ha inizio ai primi di agosto, quando una nuova coinquilina fa la sua inaspettata entrata in scena a casa del Larry, occupando la stanza che fu dell'ultracattolico quebecchiano Martin, partito alla volta del petrolifero nord (sì, esiste qualcosa più a nord di qui!). Io, con influenze lombrosiane delle quali mi vergogno profondamente, inizio a dubitare della nuova arrivata sin dalla stretta di mano.
La prima sera, un po' indispettita dalla mia cronica diffidenza, me ne vado a dormire con la gatta Maggie, sperando che l'indomani mi porti in dono un po' di fiducia nel genere umano. Ma ecco che, nel cuore della notte, la coinquilina, da allora ribattezzata “Creepy Roommate”, mi catapulta nel mezzo di uno a caso degli episodi di Paranormal Activity, iniziando a ripetere, a mo' di rito satanico, “I know who you are and you know who I am” ad un immaginario personaggio presente nella sua stanza. Dopo essermi barricata in camera con la Maggie, ho constatato come il mio ateismo non sia d'aiuto quando acqua santa e rosario sarebbero la risposta più adeguata.
Questa è la prima delle poche notti trascorse a casa con lei.
La seconda sera di coabitazione si apre con la Roommate che, sempre più ubriaca, inizia a raccontarmi terrificanti storie di vita vissuta incentrati su ripetuti abusi domestici, un presunto incesto e un po' di sana prostituzione, fino a che la ciuca vira sul violento e lei inizia a buttare all'aria tutto ciò che si trova sul tavolo dove sto cenando, per infine accusarmi di averle rubato le calze. Ovviamente, la serata si conclude con un ennesimo episodio di soliloquio alla Paranormal Activity e conseguente clausura mia e della Maggie.
La notte numero tre parte bene perchè, nonostante io sia terrificata per l'assenza del Larry (a Vancouver per lavoro), la Roommate pare sobria e, dopo avermi narrato le sue vicissitudini in materia di salute, mi dice che sono una bella persona e si mette tranquilla tranquilla a guardare la televisione in sala.
Io decido che, dopo tutto, sono proprio una stronza a essere così prevenuta nei suoi confronti e mi vergogno persino di aver messo in salvo a casa del Mandon l'anello con rubino di mia nonna (unica cosa di valore che io possieda). Decido che da domani sarò una persona migliore e inizierò a costruire una sana fiducia verso gli altri e, per dare maggior vigore al mio proposito, io e la Maggie concordiamo di non chiudere a chiave la porta della camera.
Senonchè, in seguito all'emanazione del mio personale manifesto di amichevolezza verso il genere umano, perdo circa dieci anni di vita per lo spavento di venire svegliata nel cuore della notte dalla Creepy Roommate che, come se niente fosse, all'una e passa mi avvisa dell'arrivo del suo ciclo e mi fa cortese richiesta di soldi per andare a comprare i tampax ad un inesistente negozio aperto ventiquattr'ore su ventiquattro. Quando le porgo i miei di tampax lei, con fare tra lo scocciato e il deluso, si allontana e, poco dopo, in seguito ad una serie di chiamate da un ignoto personaggio maschile, se ne esce per mete ignote. Io, ricordando i racconti etilici di prostituzione, decido che la prossima volta che mi viene un attacco di fiducia è meglio se conto fino a cento e comunque mi chiudo in camera con la gatta, nel caso torni con qualche cliente.
Nonostante i miei tentativi di messa in guardia del Larry, la sua canadesità gli consente solo di ammettere che, sì, in effetti la Roomie è un po' stranella ma che no, non è assolutamente pericolosa. Nel mentre, inizia la lenta scomparsa dei miei capi di abbigliamento...
Il quarto episodio della saga mi vede tornare a casa dopo una cena da un collega (Larry sempre a Vancouver) e trovare la porta del bagno chiusa a chiave e la coinquilina presumibilmente intenta a farsi una doccia. Reputandomi fortunata per la mancata interazione, mi lavo i denti in cucina e me ne vado a letto sigillandomi in caso di un'improvvisa proiezione domestica di Shining. Un'ora più tardi, la Roommate sta ancora facendosi la doccia e, siccome ho rinvenuto una strana droga, inizio a sospettare che sia deceduta dopo aver battuto la testa sulla vasca, in preda a fumi psicotropici. Visualizzando scenari da CSI Edmonton, esco dal mio bunker e vado a bussare alla porta del bagno...dopo dieci minuti di disperati colpi alla porta e di urla, finalmente una flebile voce mi risponde che lei è “fine”. Va bene, niente squadra scientifica per stasera, me ne torno a letto. Peccato che, dopo un'altra ora, la tizia sia ancora sotto la doccia! Aspettandomi rivoli di sangue sgorgare da sotto la porta, mi avvio a portare avanti l'ennesima sessione di colpi&urla che, questa volta, dopo altri interminabili minuti, porta alla fuoriuscita dal bagno della Creepy Roommate, totalmente strafatta ma viva. La mattina successiva, vedendomi far colazione con due occhiaie tante, mi chiede se stia rincasando in quel momento. Beata amnesia della notte precedente!
Il giorno successivo, decido preventivamente di passare la notte dal Mandon, dove sto comunque per trasferirmi e, a rendere ancora più saggia la mia decisione, arriva una telefonata del Larry che, sulla strada del ritorno da Vancouver, mi sconsiglia di tornare a casa perchè la Creepy lo ha chiamato millantando la presenza di un intruso.
E qui entra in scena per davvero CSI Edmonton.
La Roomie che, sotto effetto di alcolici e droghe, è in preda a pesanti allucinazioni che la portano a credere ci sia qualcuno in casa, al ritorno del Larry pare comunque essersi calmata e, nonostante i due abbiano una discussione rispetto ad un prestito di soldi, il buon Larry, credendo risolta la cosa, se ne va beato a guardare la televisione sulla sua poltroncina reclinabile, con tanto di copertina da pensionato addosso. Peccato che, poco dopo, alle sue spalle spunti all'improvviso la Creepy Roommate che, armata di coltello, come ogni buon killer mira subito alla carotide, per poi colpire il gomito e la mano del pover'uomo. Ma siccome il Larry è nato con la camicia, la Roomie lo colpisce in maniera non letale e gli lascia pure l'occasione di scappare in cerca di aiuto. A questo punto, mentre il Larry, sanguinante e barcollante, si rifugia dai vicini, la star del remake di Shining riesce ad impossessarsi delle chiavi del pick-up e con quello a darsi alla fuga. Peccato che il sistema antifurto satellitare permetta alla polizia di rintracciarla nella vicina località di Leduc, dove viene fermata e portata in arresto.
Attualmente si trova reclusa nel carcere di Edmonton, in attesa del processo per tentato omicidio e furto di macchina.
Il Larry, acciaccato e pieno di punti, ha comunque una nuova, avvincente storia da raccontare ai nipotini.
Io ho recentemente traslocato dal Mandon e, pur avendo rintracciato alcuni capi di abbigliamento rubati dalla Roommate, sto ancora elaborando il lutto per la scomparsa del mio bellissimo vestito nuovo di pacca e della mia giacca viola.
Morale della storia: l'italiano trapiantato a nord, grazie alla sua congenita diffidenza, ha più probabilità di sopravvivenza del canadese medio, ammesso che non venga colto da ipotermia.

domenica 11 agosto 2013

Dispacci dai ghiacci - Occhio alla melanzana!


Il mio corpo si esprime in maniera litica, nel senso che trova una certa soddisfazione nel produrre sassi, sassolini e pietruzze.
Mia madre ancora conserva, a mo' di lavoretto delle elementari, i calcoli che mi vennero rimossi dalla cistifellea e credo li mostri con orgoglio a parenti ed amici in visita. Ricordo ancora il risveglio dall'operazione: avevo un freddo becco ed ero assolutamente convinta di non essere in grado di respirare. Ci volle l'intervento del mio amico Roby a suon di (metaforiche) mazzate per farmi calmare e realizzare che, se avevo fiato per smadonnare, allora probabilmente non stavo morendo soffocata. Il buon Roby, infatti, con smancerie di ogni tipo ed una faccia come il sedere, era riuscito a farsi ammettere alla sala operatoria, guadagnandosi l'ambitissimo privilegio di essere l'unico tra i miei amici ad aver ammirato le mie frattaglie. Credo che dovrei donargli uno dei miei calcoli, magari incastonato in un sobrio ciondolo a mo' di reliquia, di modo che lo possa appendere allo specchietto retrovisore della sua macchina e, in caso di conversazione languente, possa tirare fuori dalla manica l'asso della mia colecistectomia e delle mie scene isteriche post risveglio.
Qualche giorno fa, il mio ossuto corpicino ha deciso di darsi alla produzione di altri pregiati monili, questa volta in ossalato di calcio, volgarmente noti come calcoli renali.
Dopo una cena a base di untissime melanzane fritte, il mio Barbaro Canadese ha iniziato ad avvertire un certo fastidio alle vie biliari (anche lui produce pietre, a quanto pare) e mi ha prontamente accusata di averlo avvelenato con la subdola arma del colesterolo. Mentre ero intenta a negare l'evidenza, sono stata a mia volta colta da dolori via via più insopportabili, che apparentemente andavano a confermare la tesi della melanzana terrorista. Dopo qualche ora di stoica negazione del dolore, mi sono ritrovata in macchina a smadonnare contro semafori rossi e lavori stradali che rallentavano la mia corsa al pronto soccorso.
Una volta giunti all'ospedale, ho potuto constatare come i canadesi siano persone discrete e dignitose anche nel dolore: tutti i pazienti erano compostamente seduti in un educato silenzio e attendevano placidamente di essere chiamati per il proprio turno. Una donna che perdeva ettolitri di sangue da un dito tagliato sedeva con serafico sorriso giusto di fianco ad un educato giovanotto con un tremendo sfogo pruriginoso, mentre una senzatetto con qualche tipo di dolorosa infezione tentava di appisolarsi senza disturbare i vicini di poltroncina. Nella sala d'attesa regnava un religioso silenzio...se si escludono i miei ululati di dolore, misti ad imprecazioni multi-lingue. Io, infatti, ero l'unico esemplare della mia razza, devota al dramma, alla vocalità, al chiasso...una scassamaroni, insomma.
Ogni due per tre inviavo il mio fidanzato a molestare qualche infermiera perorando la causa dei miei lancinanti dolori a schiena ed addome. Nel mentre, pur soffrendo come non mai in vita mia, la mia scaltra mente italica cercava di architettare piani per essere visitata in tempi brevi: dalla simulazione di un drammatico svenimento alla presa in ostaggio di uno dei pazienti (quello apparentemente meno contagioso) e così via sino all'opzione “corri oltre le barricate” che mi vedeva protagonista di una corsa alla Bolt oltre lo sbarramento dell'accettazione.
Quando finalmente sono stata ammessa nell'eden del pronto soccorso, credo che gli altri utenti abbiamo brindato alla calma ritrovata...ma sempre in modo sobrio e contenuto, chiaramente.
Mentre gentilissime infermiere mi porgevano immacolate copertine appositamente riscaldate per il paziente freddoloso, io continuavo con la mia litania di “oh-my God-oh mio dio” e “perchè è capitato a me?!?” ed anche “sto morendo!!!” ma, soprattutto, “mai più melanzane fritte!”.
Questo calvario è andato avanti per circa dodici ore, durante le quali l'immane sofferenza è stata a tratti placata da ingenti dosi di morfina che, pur lasciando inalterata la percezione del dolore, pervade tutto il tuo corpo con una sorta di menefreghismo chimico che ti porta ad un atteggiamento del tipo “sì, soffro tremendamente, ma chi se ne frega?” e ti dona il sorriso ebete del crackomane.
La lezione appresa da questa dolorosa esperienza è quindi la seguente: se vuoi che il tuo Barbaro Canadese ti tema, ulula come una iena inferocita ed impreca in lingue a lui sconosciute.

domenica 7 luglio 2013

Dispacci dai ghiacci - Un'estate in Canada


Orde di teenagers pienotti infestano downtown mezzi nudi, gruppi di sedicenni con appendice di passeggino popolano i centri commerciali sfoggiando shorts ed infradito che neanche a Copacabana, signore sovrappeso stritolate da improbabili prendisole mostrano sbiaditi tatuaggi, memoria di quando la tonicità della loro pelle faceva sembrare davvero un cuore quello che invece ora ricorda un sedere flaccido disegnato da un tatuatore con troppo whiskey all'acero nel sangue.
Questa è l'estate ad Edmonton.
Qui, nella giornata più calda della storia (30°C scarsi!), si sono registrati più blackouts che in tempo di guerra per via dei troppi condizionatori accesi, mentre per le strade si incontravano canadesi paonazzi con preoccupanti crisi respiratorie.
Io, avendo finalmente deciso di indossare audacemente pantaloncini ed infradito, sono stata giustamente travolta da una tempesta tipo Independence Day, con tanto di alberi che mi cadevano al suolo davanti, folgorati dal vento impazzito, e tutta la polvere della terra gettata a velocità supersonica nei miei poveri occhi.
Siccome l'altra volta che avevo osato fare sfoggio di infradito la città era stata messa in subbuglio da un tornado warning, ho deciso, per il bene di tutti, di evitare di esporre inappropriate nudità ai quattro venti canadesi.
Del resto, qui nessuno parla di estate, perchè, com'è noto, ad Edmonton esistono solo due stagioni: quella delle nevi e quella delle costruzioni, detta anche “del fango”. Infatti, se per circa otto mesi all'anno la città è ricoperta da un impenetrabile strato di neve e ghiaccio, per i restanti quattro si assiste ad uno sbocciare di cantieri di vario tipo e dimensione. Si costruiscono strade, case (rigorosamente tutte uguali), centri commerciali, ponti, garage e pure piscine all'aperto. La conoscenza della rete dei trasporti locali maturata in sei mesi di sofferenza invernale viene resa inutile da brutali quanto imprevedibili mutazioni nel percorso di tutte le linee di pullman, mentre il pedone, in passato osteggiato dai cumuli di neve sugli sparuti marciapiedi, rischia l'estinzione a causa dei pericoli insiti in tombini aperti, oggetti in caduta libera dalle impalcature e mezzi pesanti impegnati nella sistematica asfaltazione di tutta Edmonton.
Qui, infatti, si è nemici del verde. Gli unici colori graditi agli autoctoni sono il grigio-asfalto, il bianco-neve, il nero-petrolio e il blu-arancione-bianco degli Oilers, la locale squadra di hockey...che, a dire il vero, ha fatto piuttosto schifo nell'ultima stagione.
Credo che si tratti di genetica, perchè anche il mio Canadian Barbarian si sta dedicando allo smantellamento di ogni residuo di verde nel proprio giardino. Dopo aver brutalmente asportato ogni minimo filo d'erba e speso migliaia di dollari in bulldozer rimuovi-fango, ora passa ogni momento libero a piastrellare il cortile, seguendo un delirante progetto che prevede una fontana probabilmente a forma di fungo, un buco per i falò notturni, una vasca da bagno riscaldata (!!!) ed altri ornamenti barocchi che dovrebbero saturare uno spazio grande più o meno come un monolocale a Milano. Io, per suo grande disappunto, mi limito a scuotere la testa da dietro la finestra, mangiando avanzi di cena cinese e insegnando parole italiane di disappunto a Phelony e Gesù, amici canini.
Per il resto, l'estate, ops la construction season, è fatta di tramonti ad ore incredibili (le 11 di notte!), nativi che barbequeggiano nei parchi, festivals di ogni tipo tutti accomunati da uno sfoggio di nudità tatuate, gente che si fa canne alle fermate del pullman, taglio dell'erba ossessivo-compulsivo ad ogni ora del giorno e della notte (tanto c'è sempre luce!) e muta del pelo dei conigli locali che da bianchi che erano sono ora diventati marroncini per mimetizzarsi con la polvere sulle strade.
Io, un po' per superstizione e un po' per sopravvivenza, ho deciso di seguire la semplice filosofia dei signori Sikh che, barba lunghissima e fare distinto, si riuniscono ogni giorno presso le panchinette del Mill Woods Town Centre e che indossano lo stesso tipo di indumenti (turbante, tunica e gilet) ogni giorno dell'anno. Infatti, visti i tornados, le thunder storms, la grandine di tenore biblico e compagnia bella, perchè mai dovrei archiviare la mia giacca a vento, compagna di mille avventure su strade o troppo innevate o troppo impolverate per dei patetici sandaletti caraibici?

giovedì 21 febbraio 2013

Dispacci dai ghiacci - Ma che freddo fa???

Il festival di Sanremo è acqua passata e pure i Grammy Awards. Qui non se li è filati nessuno. E per forza: siamo troppo impegnati a spalare la neve e a tentare di far sciogliere il ghiaccio davanti alla porta di casa, per evitare di contrarre le tipiche malattie invernali, come fratture scomposte, ecchimosi al coccige o perdita dei sensi post caduta con conseguente assideramento.
Ogni volta che cammino su ciò che rimane dei marciapiedi edmontoniani, penso con sollievo ai benefits che il Castorama nordamericano mi garantisce: se mi lusso una spalla all'incrocio tra la sessantaseima strada e la ventitreesima avenue, infatti, pagherò solo il 20% delle spese mediche. Olè!
Dopo quasi quattro mesi di permanenza in terra canadese posso affermare con fierezza che il freddo mi fa una pippa e posso portare alto il vessillo di almeno tre categorie di persone: quelle che hanno solo un semplice strato di pelle striminzita a coprire le proprie ossa, quelle che non si nutrono di sostanze animali e quelle che, avendo passato i primi giorni della porpria esistenza in incubatrice, hanno sempre avuto un po' di inconscia nostalgia per quel calduccio artificiale. E quindi no, le mie ossa non si stanno frantumando per il freddo, no, non è necessario nessun substrato proveniente da altri animali per sopravvivere degnamente e sì, i sacchettini per il caldo istantaneo possono talvolta essere un succedaneo dell'incubatrice.
Per descrivere la mia progressiva canadesizzazione, basti dire che, in quei rarissimi giorni in cui la temperatura si aggira sui -5°C, io sudo per la caldazza e lascio deliberatamente a casa guanti, cappello e sciarpa, mentre nella tempesta di neve più molesta io passeggio allegramente gustandomi uno smoothie vegan ghiacciato. Sono talmente canadese che a -28°C (-43 quelli percepiti!), gli unici eventi “ostili” registrati dal mio bizzarro organismo sono stati il congelamento dei peli del naso e del mio respiro sugli occhiali. Ma tanto, se cado a causa della cecita, mi copre Castorama!
La mia progressiva acclimatazione all'habitat siberiano può essere confermata da quel barbaro* canadese che da qualche mese fa coppia con me...mentre al primo appuntamento ha dovuto recuperarmi, ibernata e quasi comatosa, nell'atrio di una TD Bank a soli -10°C, ora sono io che lo incito ad andare a pattinare su piste di ghiaccio all'aperto a temperature impossibili. Sono confidente nelle mie possibilità e so che prestissimo riuscirò ad emularlo e ad uscire di casa senza nemmeno abbottonarmi la giacca o addirittura in maniche di camicia. Per ora ho pascolato i suoi cani in piagiana nel mezzo di un blizzard (o bufera di nve) senza battere ciglio.
E se gli autoctoni, ostinandosi a credere nell'arrivo della primavera, iniziano a fare incetta di sementi e terriccio per l'orticello casalingo, io mi accingo a comprare una bicicletta con la quale sfrecciare per strade la cui segnaletica è totalmente nascosta da una solida patina marroncina di materiale ghiacciato. E intanto continua a nevicare, nevicare, nevicare, nevicare...perciò mi fa strano leggere di amici e parenti in Italia che si lamentano per una leggera spolverata biancastra e addirittura mi sembrano principianti i miei amici nello stato di New York quando mi dipingono scenari apocalittici per descrivere tre giorni di neve. Qui, ah bbbelli, la neve manco sappiamo più dove mettercela! Ne abbiamo talmente tanta che le corsie delle strade misurano circa la metà della dimensione originaria, perchè nel corso dei mesi gli spalaneve ne hanno accumulata così tanta ai lati delle carreggiate che ci si potrebbero organizzare gare di snowboard cittadino. E siccome in Canada non sanno proprio che fare per evadere dalla noia del luuuungo inverno, i bambini locali si dilettano ad organizzare atroci scherzi ai danni dei compagni più sprovveduti, scherzi che in gran parte del mondo conosciuto non sarebbe possibile effettuare. E mi riferisco al famoso trucco del “lecca il cancello”, dove un ingenuo ragazzetto viene convinto a leccare cancellate di metallo a -20°C con la drammatica conseguenza di una lingua attaccata al cancello dei vicini. Questo è ciò che si può definire un'infanzia infelice ed è la chiara origine del dilagare di una vera e propria piaga sociale come il whiskey all'acero, un'aberrazione che dà la stessa sensazione che darebbe bere dei pancake liquefatti con troppo zucchero. Credo che la mancanza di luce solare porti ad abnormi effetti collaterali...
Intanto, l'hockey ha ripreso il suo normale corso, per la gioia di Larry che ha passato i primi tre mesi di convivenza smadonnando contro quegli avidi giocatori dei ghiacci che, per ottenre un aumento su paghe già stratosferiche, erano entrati in sciopero sottraendo ai canadesi l'unico vero divertimento, a parte lo sci ed il curling. Ora purtroppo mi tocca spararmi una partita a sera e lo scenario è più o meno sempre il medesimo: Larry che urla e strepita, Larry che mangia cibi untissimi per via dello stress da partita, larry che si addormenta, gli Oilers che perdono, Larry che si risveglia, apprende della disfatta e inizia ad inveire. Il tutto mentre i gatti osservano con malcelata aria di superiorità.
In questo preciso momento pare che gli Oiles siano in vantaggio sui Minnesota Wild e guai a fiatare, ché il Larry non va disturbato.
Domani è previsto sole e -10°C...quasi quasi lascio a casa guanti e sciarpetta!