lunedì 21 novembre 2011

Mentre ero via

Dall'altra parte dell'oceano, il tempo fugge veloce ed insieme lento. A volte è denso come una pumpkin pie, mentre a tratti è rarefatto come il cervello di Miss South Carolina.
Mentre ero via, sospesa in un'eterna adolescenza dove la massima preoccupazione è quella di aver terminato i calzini puliti e dove il conto dei giorni è tenuto grazie alla quantità di piatti sporchi accatastati nel lavandino, il mondo ha continuato a girare.
La gente si sposa, si riproduce, fa carriera, viene licenziata, si ammala, muore. E io? Io ero via.
La gente sono i miei amici, la mia famiglia. E io sono via mentre la loro vita cambia e procede a tappe forzate, mentre i piatti continuano ad accumularsi nel lavandino.
Elisa si è sposata e nelle foto io non ci sono: ora un vasetto raku lavorato a mano dai gioiosi sposi resiste ogni giorno ai pericolosi attacchi di Nello e Fleasa.
Livia ha avuto una figlia e io mi stampo la sua foto da appendere in camera, proprio di fianco a quella del figlio di Michela, che attualmente sarà più alto di me e che non ha ricevuto il costume di Halloween che gli ho spedito con tanto di fiaba d'accompagnamento (maledette poste yankee!).
Che dire di Anna? Lei “attende” e io non sono lì a dirle le mie amorevoli cattiverie per consolarla della crisi della scuola italiana. Ma la penso ogni volta che la mia collega mi racconta le intricate vicende dei suoi sei figli e tre amanti e l'unico commento che mi sale alle labbra è “Pota!”. E, a dire il vero, la penso anche in molte altre occasioni.
Viviana e le sue basette non sempre hanno avuto la vita facile, e pure per Dolly e per il Borz non è una passeggiata. E io posso solo mandare vigorose ma virtuali pacche sulle spalle (non sia mai che abbracci qualcuno!).
Il Benno e l'Ambrogino cercano di sopravvivere all'ennesimo Natale sulle barricate, mentre Chiara aspetta del make up direttamente dalla Grande Mela e Jacopino continua a sperare che un angelo gli bussi alla porta. Quest'anno non sarò con voi a bere il vinello della vigilia.
I miei fratelli accumulano pure loro piatti sporchi e bottiglie di birra vuote, ognuno nella propria casetta: quello più magro sta diventando un attore di successo, mentre quello più grassottello programma il prossimo espatrio. Lo sapranno mai quanto mi mancano, in questo polveroso (e pulcioso) lunedì sera, in quest'ansa intestinale che è Kingston, NY?
Oggi con la Gabry abbiamo deciso che, di fronte alle difficoltà della vita, saremo uomini veri: perché lo scoraggiamento è la scusa degli imbecilli. Ma come si fa se, mentre ero via, i miei genitori sono diventati più piccoli e io sono sempre la stessa bambina che non sa mangiare nessun tipo di alimento senza sporcarsi in maniera bizzarra? Si fa! Mentre sono via, io sono anche lì...a mo' di fantasma che infesta la casa e che la notte si aggira in cucina alla ricerca di patatine fritte o di lasagne vegan. Se inciampate, io non potrò essere la mano che vi rialza, ma sarò di sicuro la voce che vi consola e che vi sprona a continuare a camminare anche se avrete paura di cadere.
Mentre ero via, tutti quanti sono andati avanti con le proprie vite e io mi sono atteggiata al Jack Keruac della situazione. Ma non sapevo fare altrimenti.
Ogni volta che, all'alba, lotto contro le portiere della Sweet Princess ermeticamente sigillate dal ghiaccio, mi chiedo perché mai mi ostini a presidiare questo ghetto di crackomani e venditori di armi e, sebbene parte della risposta stia nel semplice fatto che mi agghiaccia l'idea di dover affrontare il fucking mercato del lavoro italico, la realtà è che (a discapito dell'età, presto combattuta a colpi di botox) non so ancora abbastanza di me per poter tornare a casa.
E che in questo viaggio imparo ogni giorno qualcosa che, sebbene fosse in qualche modo evidente anche prima, non mi era dato di vedere altrimenti.
Mentre sono via, cercate almeno di far finta che vi manchi, porca paletta!

domenica 20 novembre 2011

Amene festività ammmericane

In una terra dove le decorazioni di Natale ci hanno scaldato il cuore anche a ferragosto, il saggio antropologo vive con un misto di ansia e costernazione l'arrivo delle pittoresche festività ammmericane.
Da che siamo sbarcati nel Nuovo Continente, io e l'antropologo ci siamo beccati il Super Bowl , il Saint Patrick's Day, Pasqua, il Memorial Day, Independence Day, il Labor Day, il Columbus Day, Halloween e pure il Veterans' Day.
Per quanto concerne il Super Bowl, ovvero la finale del campionato di football, sebbene non sia una “legal holiday”, quaggiù riscuote più successo del seno di Snooki e serbo nel mio cuore il caro ricordo di gente avvinazzata e di locali stracolmi di gente. Ovviamente, mi è tuttora oscuro il risultato della finale, ma credo di aver comunque festeggiato con una birra.
Il Saint Patrick Day, celebrato il 17 marzo, è essenzialmente un inno alla birra ed alla cirrosi epatica. Orde di americani mastodontici, rossicci e lentigginosi celebrano le proprie origini irlandesi vagando seminudi in sfregio al freddo becco newyorkese (qui ha nevicato anche il primo giorno di primavera!), mentre negli irish pub si fa fatica a muoversi per via del pavimento reso viscido dagli ettolitri di alcol fatto cadere da teenagers ubriachi marci e dagli stessi teenagers caduti al suolo per la strabiliante quantità di birra nelle vene. L'unica modifica che apporterei a questa gioiosa festività consiste nella qualità della birra reperibile negli Stati Uniti: direi che solo nel fetido birrificio sulla Broadway frequentato da motociclisti mummificati e in New Mexico ho bevuto della birra decente (e non era americana).
La Pasqua passa in fretta e sotto silenzio: non ci sono le uova di cioccolato con dentro le sorprese, non c'è la colomba vegan comprata al negozio di via Copernico e dura più del cemento, non c'è il pranzo da ma' e pa'. Qui ti guardano storto se cerchi di spiegare perché è bello avere l'uovo da rompere la domenica e si sentono molto, ma molto cool perché incellofanano orridi cestini di plastica stracolmi delle schifezze più fetide prodotte in Cina per questo raffinato mercato. Personalmente, ho celebrato la festività con delle - come dire? - interessanti lasagne olandesi e credo che certe esperienze ti facciano capire perché l'Olanda sia famosa per sesso e droga, ma non se la caghi nessuno per la cucina.
Ad essere onesti, non ho ancora capito il significato del Memorial Day, festeggiato l'ultimo lunedì di maggio, ma credo sia una specie di giorno di commemorazione per i soldati americani caduti in guerra...e allora, senza voler mancare di rispetto, mi chiedo a cosa cacchio serva il Veterans' Day, dal quale sono appena reduce. Dico solo che la quantità di bandiere a stelle e strisce che impacchettava ponti, statue, scuole, municipi, macchine, centri commerciali e quant'altro era davvero imbarazzante e che, al lavoro, mi è pure toccato aiutare gli utenti a fare i lavoretti sul tema “quant'è eroico morire in guerra”. Credo che la mia dignità sia evaporata a long time ago.
Dell'Independence Day ricordo con piacere l'orrida parata alla quale ho assistito in quel di New Paltz, dove audaci gruppi di ottuagenari e manipoli di boy scouts hanno percorso le vie dal paese a bordo di pick up di dimensioni epiche, intabardati in bandiere ammmericane, in tute mimetiche o in uniformi uscite direttamente da Ufficiale e Gentiluomo, ma made in China. L'evento più rimarcabile occorso in tale circostanza è stato il tentativo di rendermi cieca ad opera di un bimbo biondo sicuramente destinato a diventare un cecchino in qualche guerra in Medioriente: ditemi perché in questo paese è legale lanciare, a velocità da Joe Di Maggio, caramelle chimiche dai pick up in parata? Per poco non ci perdevo un occhio! E le caramelle facevano pure schifo...
Il Labor Day è la festività in assoluto più comica: si celebrano i lavoratori in un paese dove i diritti sindacali (e pure qualche altro tipo di diritto...) vengono generalmente utilizzati a mo' di toilet paper. In ogni caso, anche qui c'era un grande tripudio di star-spangled banners in ogni dove, per la gioia dei bambini cinesi addetti alla produzione delle bandiere.
Che dire del Columbus Day? In quest'amena occasione, durante la quale ricordiamo la scoperta del Nuovo Continente, non sono solo i bambini cinesi a ringraziare, perché al coro dei ringraziamenti si uniscono pure i nativi americani, sterminati da quei buontemponi degli europei.
Halloween è di gran lunga la mia festività preferita, perché mi ha dato modo di sfoggiare un graziosissimo parruccone fucsia e delle ciglia finta che nemmeno Platinette oserebbe appiccicarsi in faccia. I preparativi per Halloween iniziano all'incirca alla fine di agosto e, per l'occasione, vengono aperti negozi ad hoc che, sotto Natale, verranno poi riconvertiti in punti vendita di babbi natale plasticosi ed alberelli sintetici. Tutti festeggiano Halloween, tranne i giamaicani che, in quanto a superstizione, sono pure peggio di noi italiani.
Per non farmi mancare niente, ho abbellito la nostra pulciosa dimora dispiegando sulla veranda una tela di ragno grande quanto un campo da football (che è stata rimossa circa due settimane dopo Halloween, quando aveva ormai raccolto tutto lo sporco e le foglie secche del vicinato), appendendo alla porta un orrido cartello con la dicitura “Enter, if you dare!” (che rimarrà dove si trova almeno fino a ferragosto) e comprando una zucca, sempre in plastica e sempre made in China, ricolma di caramelle del discount, che ho portato in extremis a Nata il giorno di Halloween: la poverina aveva spento tutte le luci di casa e si era nascosta nel buio e in silenzio, per evitare che orde di bambini yankee venissero a bussare alla nostra porta in cerca di saccarosio, per poi insaccarla di botte una volta scoperta la totale mancanza di candies.
Intanto, io e il saggio antropologo ci stiamo preparando con orrore e raccapriccio al Thanksgiving Day, detto anche Turkey Day: il giorno del tacchino. La mia collega Michele mi ha già annunciato che friggeranno un dinosauro nella friggitrice industriale del fratello, mentre un'altra coworker si prepara ad una più tradizionale cottura al forno che la vedrà impegnata per sole sette ore.
Per quel che mi riguarda, cercherò di sopravvivere al giorno del ringraziamento comprando il TofuTurkey che ho già adocchiato al supermercato e cercando rifugio in quel di Washington DC.
Per tutti quelli che non soccomberanno a pesantissimi processi digestivi e ad intossicazioni da grassi saturi, un'altra dura prova si profila all'orizzonte: il famigerato Black Friday. Ma questa è un'altra storia...

giovedì 3 novembre 2011

Sit tibi terra levis

Sit tibi terra levis.
Che la terra ti sia lieve, come tu lo sei stato per questa terra.
Leggera come milioni, miliardi di ali.
Tutte quelle che hai riparato, da provetto artigiano del cielo.
Che gigante che eri e che lavoro di minuzia facevi sui piccoli corpi pennuti!
Ma come ci riuscivi?
Dall'altra parte dell'oceano, sulla mia testa volano stormi diretti a sud.
Nessuno sa dire la solitudine delle alte quote quando, con la testa tra le nuvole ed il vento a sostenerti le ali, sfidi gli dei, invidiosi del tuo volo.
Forse a te gli amici alati hanno svelato i loro segreti e, da qualche parte, vi fate beffe di chi sta quaggiù: come dev'essere ridicolo l'essere umano visto dall'alto!
Guido, che la terra ti sia lieve.