Se, giunta al
quattordicesimo mese nella terra della patatina fritta, sono ancora
in discrete condizioni psicofisiche (vabbè, discrete secondo i
parametri locali...) è perché ho sviluppato abilità e conoscenze
che mi hanno permesso di passare indenne attraverso la miriade di
pericoli ed insidie che minacciano l'esistenza di un immigrato: le
risse tra donnone obese alla lavanderia a gettoni, il livello inumano
di colesterolo nel sangue, le motorette del Wal Mart, gli spacciatori
di crack della porta di fianco, i meccanici locali.
Questi ultimi
costituiscono, molto probabilmente, la maggiore minaccia alla mia
salute mentale ed all'integrità del mio portafogli e, in una terra
dove praticamente ogni cosa attività viene effettuata in macchina e
trascinare il sedere sedile-forme per più di due isolati sembra
un'impresa impossibile, essi rappresentano una figura mitologica
molto vicina ad Hermes, dio dei ladri.
Sei in palese svantaggio
nei confronti della genia dei meccanici quando vieni da una città
dove macchina è sinonimo di smadonnamento da eco-pass, targhe
alterne, lotta all'ultimo sangue per il parcheggio, telecamere ed
autovelox ed il tuo bagaglio di conoscenze in campo automobilistico è
una ridicola valigetta di cartone, con dentro le basi: l'olio va
cambiato ogni tot, l'arbre magique alla vaniglia fa venire il mal di
testa e i parcheggi dell'Esselunga sono stati creati per testare il
freno a mano..
Se ritorno con la memoria
al giorno in cui ho acquistato la mia Sweet Princess (una
lussuosissima Plymouth Neon del 2000, mica fregnacce!), mi rivedo,
dispersa nel Maine, piccola ed ingobbita nella giacca a vento per
frenare la dispersione termica nel mezzo di una maledetta snow storm
e mi rendo conto di aver scelto la mia macchina principalmente perché
s'intonava col colore dei miei vestiti e perché gli interni erano
puliti più della mia camera.
Il primo approccio al
mondo dei meccanici è stato celebrato all'insegna del
fastidiosissimo cigolio prodotto ad ogni frenata, cigolio che mi ha
sempre fatta sentire a disagio allo sportello bancomat drive.thru ed
al casello del ponte di Poughkeepsie, quando le persone nell'arco di
una decina di metri si devono tappare le orecchie per attenuare il
tipico effetto “metropolitana della linea rossa”.
Il primo meccanico
consultato, su consiglio di una collega, si trova all'altro lato
della strada della mia palestra da losers ed è simpaticissimo,
nonché di origine italiana (come l'ottanta per cento degli abitanti
dello stato di New York)...peccato che, dopo cinque minuti al volante
della mia macchina, mi abbia sparato un preventivo che, a distanza di
più di un anno, mi provoca ancora una risata isterica mista a sudori
freddi. Di fronte alla tragedia, in preda ad un crollo nervoso e dopo
aver inscenato una sorta di dramma casalingo nel quale brandivo, con
una mano, il maledetto preventivo e, con l'altra, il mio estratto
conto da pezze al sedere, sulla via di Damasco mi è apparso il
meccanico palestinese di New Paltz, il quale mi ha cambiato qualcosa
che manco sapevo esistesse per circa la metà del prezzo proposto dal
primo garage.
Senza accorgermene, stavo
attraversando la fase più pericolosa, cioè quella della trappola
psicologica, perché, dopo aver proferito un accorato “I love you”
al meccanico, nel mio cuore si agitavano ridicoli sentimenti compresi
nell'arco che va dalla gratitudine alla speranza per un mondo onesto
ed incentrati sul desiderio di accudire la mia macchina come fosse
mia figlia, sulla preoccupazione per la famiglia del meccanico in
Medio Oriente e sulla smania da collezionista di riparazioni. Tutto
questo nocivo groviglio di emozioni, unito alla voce di mio padre che
in queste circostanze mi riecheggia sempre nella testa (“controlla
la cinghia, che altrimenti puoi prendere la macchina e buttarla nel
cesso”), mi ha spinta a supplicare il meccanico di controllarmi la
cinghia, col risultato che, essendo of course usurata, questi non
solo me ne ha cambiata una, ma addirittura due (e chi lo sapeva che
erano una coppia?).
La mente gioca strani
scherzi e, dopo qualche settimana di tranquillità, nel bel mezzo
della mia luna di miele meccanicistica, dove il meccanico palestinese
rappresentava l'archetipo del salvatore, una notte il mio sonno viene
disturbato da un sogno molesto: nell'incubo, mentre sto guidando
verso Poughkeepsie, una spia si accende improvvisamente sul mio
display, provocando tachicardia, ipersudorazione ed improperi
bilingui. Il giorno dopo, mentre ancora il sole si fa desiderare e la
caffeina inizia lentamente a circolare nelle mie vene, io sto davvero
guidando per andare al lavoro e sul display si accende per davvero
una fucking spia...quella del motore! Accosto ed inizio il mantra di
parolacce, mentre iperventilo e la quantità di ossigeno che arriva
al cervello è talmente bassa che inizio ad avere delle visioni nelle
quali il mio meccanico palestinese si spara tutti i gironi
dell'inferno dantesco, più altri da me inventati al momento, per
espiare la colpa di non aver previsto un simile flagello. Mi trascino
quindi all'officina, mentre i lucciconi agli occhi fanno sbiadire le
linee stradali, e qui scopro che il metodo migliore per risolvere il
problema pare sia ingannare il computer della macchina facendogli
credere che vada tutto bene, un po' come si farebbe con un anziano
zio sul letto di morte, costretto a sorbirsi tutte le descrizioni
dell'hotel dove promettono di portarlo in vacanza l'estate seguente.
Purtroppo, però, per la Sweet Princess l'inganno è durato meno di
una quarantina di miglia e l'unico modo per esorcizzare la comparsa
della spia è consistito nell'esborso di ottanta dollari per
l'acquisto di un nuovo sensore che non mentisse più sulla presenza
di perdite di olio del volante (e chi lo sapeva che pure il volante
ha un suo proprio olio?).
A proposito di olio,
quello del cambio è un rito al quale mi attengo scrupolosamente, con
la superstiziosa convinzione che le virtù apotropaiche dalla
cerimonia allontanino davvero il flagello di un break down, anche se,
oltre ai trenta dollari canonici, il prezzo da pagare consiste anche
nel persistente odore di alcool immancabilmente lasciato nel mio
abitacolo dall'unico meccanico americano che lavora nell'officina e
nella tradizionale presa per il culo da parte del Palestinese che,
ogni singola volta che mi vede, non può fare a meno di chiedermi “li
hai fatti i soldi?” o di propormi per beffa di scambiare la mia
macchina da due quarti di dollaro con qualche Mustang o similia.
Siccome qui tutti sono
ossessionati dai rigori invernali, ed io per prima, in tempi non
sospetti mi sono premurata di associare al cambio dell'olio pure
quello dell'antigelo ma, inconsapevole del fatto che flushing out e
adding fossero due cose ben distinte, non avevo preventivato di
spendere circa cento dollari in fluidi per la Sweet Princess. Di
fronte al salatissimo conto ho retto il colpo per evitare di essere
presa in giro in maniera ancora più pesante, ma una volta tornata a
casa ho iniziato ad inveire contro gli dei ostili, salvo poi scoprire
che cento dollari per flushing out dell'antigelo (qualsiasi cosa esso
significhi) e cambio dell'olio è un prezzo più che popolare.
Siccome io sono una
persona tendenzialmente ansiosa e paranoica, qualche settimana fa ho
iniziato a sentire delle strane vibrazioni ogniqualvolta toccavo
l'acceleratore e ho subito immaginato scenari catastrofici,
rafforzati dalle precedenti esperienze avute da Kamalita con la sua
esosissima Volvo, per aggiustare la quale ha speso, nel corso dei
mesi, qualcosa come millecinquecento dollari, cifra che l'ha portata
ad odiare in modo viscerale prima il meccanico che gliel'ha venduta e
poi anche la Svezia, terra di fighetti e di macchine che cadono a
pezzi una volta raggiunti i centomila miglia.
In realtà, l'amico
palestinese mi aveva avvertita che la Sweetie aveva una perdita di
olio (sempre olio!) negli ammortizzatori posteriori ma non ho mai
avuto i risparmi per prendermi cura della faccenda e ho sviluppato
col passare del tempo un inconscio senso di colpa per il mancato
accudimento della macchina. Per estirpare una simile onta mi sono
recata nella zona più malfamata di Kingston dove Jason, il meccanico
che opera sul ciglio della strada di fronte casa sua, potesse
visitare la povera Sweetie.. Il verdetto è stato pesantuccio: 450
dollari tra freni anteriori ed ammortizzatori posteriori. Oggi ho
quindi nuovamente affrontato il viaggio nei recessi di quest'ansa
intestinale di paese e mi sono ritrovata in un film sulle street
gang, dove teppistelli con bandane e strani gruppi in cazzeggio sulle
verande mi fissavano, increduli del fatto che un mucchietto di ossa
sbiadite come me potesse trovare l'ardire o la demenza di camminare
su quelle strade come niente fosse.
Dopo aver speso 160
dollari di freni, infilati in mano al Jason in contanti ben
arrotolati, a mo' di drug dealing, mi sono pure sentita dare della
babbazza dal mio fratello messicano che mi ha assicurato di avere un
amico che gli deve qualche favore e che mi può sistemare gli
ammortizzatori praticamente gratis.
Insomma, se rinasco
prometto di aprire un'officina di riparazioni in Bovisa, dove offrire
consulti gratuiti ai poveri immigrati provvisti di macchina. Credo
fermamente che questo possa giovare al mio karma.