giovedì 3 gennaio 2013

Dispacci dai ghiacci - Customer focused o muerte!

Lavorare per una compagnia americana, sebbene dispersa nei più gelidi ghiacci canadesi, equivale a gettarsi, senza paracadute, nel mezzo di un b-movie con vecchie cheerleaders sovrappeso ed ex giocatori di football...ma con due fondamentali varianti: l'hockey al posto del football ed una marea di colleghi pachistani.
Non farò il nome dell'azienda, ma sappiate che si tratta di una sorta di castorama nordamericano, anzi del paradiso dell'home improvement, l'eden del do it yourself, l'eldorado del bricolage, ecc. ecc. ecc.
E che ci faccio io in un posto del genere? Semplice: percepisco un buon stipendio per osservare allibita, part time, come si lavora su Marte. Insomma, ricerca sociale sotto copertura.
La sensazione di essere sbarcata su un altro pianeta ce l'ho in effetti avuta da subito, da quando ci hanno caldamente incoraggiati a non indossare nulla di arancione (il colore del nemico, l'altro leader del settore!) e ci hanno sottoposti ad un training dove si veniva messi in guardia circa i turpi sotterfugi escogitati dai sindacati per carpire soldi e fiducia di ignari lavoratori.
La mattina, quando arrivo al pelo col mio fake espresso Tim Horton's che viene regolarmente sbeffeggiato da tutti, i miei colleghi si stanno già riunendo in cerchio per definire gli obiettivi commercali della giornata, cantare l'inno aziendale ed unire i propri pugni chiusi al grido di “customer focused!”. Il tutto avviene mentre simulo un attacco di incontinenza in bagno, una strabiliante inettitudine nell'allacciarmi le scarpe aziendali oppure una curiosa lentezza del sistema di registrazione delle ore...tutto pur di non dovermi sottoporre ad un simle annichilimento della mia già moribonda dignità.
La routine lavorativa marziana viene scandita da una solida disorganizzazione mascherata da zelo ed iperattività, che porta tutti a dare estrema importanza (o a fingere di darla) a cose della più totale inutilità, nonchè ad amplificare nel tempo e nello spazio attività della più disarmante banalità. In tutto questo, il dramma è costantemente in agguato e colpisce senza distinzione la popolazione autoctona e quella importata, cosicchè quei dieci minuti di ritardo di un collega diventano intollerabili e persino la mancanza di un codice a barre su un qualche sconosciuto pezzo del plumbing department può scatenare la terza guerra mondiale. Le uniche persone immuni da questa psicopatologia marziana siamo io, una collega irlandese ed una supervisor ganese e generalmente assistiamo alla tragedia del genere umano con lo stesso aplomb col quale dei nobili britannici assisterebbero ad una corsa di cavalli sui quali non hanno puntato.
In sala pranzo, ognuno si avviluppa al proprio cellulare per comunicare con familiari ed amici nella propria lingua natia, cosicchè si crea una sorta di babele dove ognuno si disturba a vicenda e maledice intimamente gli altri immigrati...salvo poi ritrovare unità e compattezza nel congiunto insulto al solito collega che riesce a vendere più degli altri. Per questo e per altri ottomila motivi, pereferisco sfidare i -20°C e le costanti tormente di neve e passare la mia paura pranzo altrove, piuttosto di correre il rischio di un'ulcera o, ancora peggio, quello d'incontrare di nuovo quella collega che sembrava così carina e simpatica fino al giorno in cui, tutta trionfante, ha iniziato a mostrarci foto di figlio e marito di fianco ad un gigantesco alce ucciso in una gita familiare, il cui scopo principale era quello di fare la pelle ad un orso. Inutile dire che, da quel momento, cerco di evitare questa tizia peggio della peste bubbonica e ciò non tanto per sensibilità mia, quando per paura di un un mio rigurgito di intolleranza che potrebbe portarmi a lanciare improperi in ogni lingua a me nota. Credo che l'azienda abbia dei luoghi specifici per la rieducazione di elementi come me e temo che tali strutture siano collocate ancora più a nord di qui. Oppure, forse, in Texas.
Se si è fortunati e si è di turno alla chiusura, si può prendere parte al meeting conclusivo della giornata, dove si tirano le somme del lavoro compiuto e, ancora una volta, si può gustare la coralità e la fratellanza aziendale, quando manager o facente funzioni chiede con tono serio e ricco di pathos “who are we?”, per gustare la roboante risposta della massa umana che, con tutte le forze residue dopo otto ore dedicate al più puro amore aziendale, risponde urlano a squarciagola il nome della ditta.
Anche la clientela è meravigliosa: spartani costruttori di case-distruggi-foreste, grezzi piccoli imprenditori arricchiti dal boom economico di Edmonton (viva il petrolio!!!), casalinghe smaniose di acquistare i sanitari più cool della zona, giovani coppie appena entrate in possesso di una casa nuova di pacca (e ancora, grazie petrolio!), oppure classiche famigliole canadesi desiderose di avere in salotto il proprio albero di natale vero-verissimo.
E a questo proposito vorrei ringraziare pubblicamente i miei datori di lavoro perchè è merito loro se oggi ho la resistenza al freddo di un semi-canadese, per cui sudo a -5°C e se mi si ghiacciano i peli del naso e pure gli occhiali a -20°C faccio spallucce e vado avanti a camminare. Grazie, perchè mi avete temprata con ore e ore nel gardening department, a dispensare alberi di natale con una collega gentile almeno quanto Mike Tyson (e grande uguale). Grazie, perchè sono sopravvissuta e potrò un giorno raccontare ad immaginari nipotini di figli che non avrò di quella volta che ho venduto un abete fir deluxe a temperature tali da distruggere il computer a nostra disposizione.
Thank God, seguendo il più autentico stile di vita nordamericano, al momento ho altri due lavori che mi permettono di salvaguardare la mia residua salute mentale e dove nessuno si sognerebbe mai di cantare inni o di andare in giro gridando ai quattro venti “I wanna kill a bear”.
Detto questo, domani mi alzerò all'alba, prenderò il mio pullman con autista del Punjub, arrancherò fino al mio posto di lavoro e, come sempre, simulerò una qualche patologia per dissimulare il mio disadattamento alla società marziana.