sabato 10 ottobre 2015

Alla mia mamma nel giorno del suo genetliaco

Oggi e' il compleanno della mia mamma. Settant'anni. Madonna.
Lasagne, torta e spumante d'ordinanza con padre e gattacci vari raccimolati qua e la' per festeggiare la sciura Angela nel giorno del suo genetliaco. E io, dall'altra parte del mondo, mi guardo due foto scannerizzate anni fa.
Nella prima, mia madre mi porta in braccio ed e' piu' giovane di me ora.
Io ho pochi mesi e indosso un vestitino che, anni dopo, usero' per vestire le mie bambole. Ovviamente non ricordo nulla di allora, ma voci di corridoio mi parlano di come la prima parola da me detta a mia madre sia stata “no!”. Fin da allora si delineavano i contorni del nostro rapporto, d'amore e d'opposizione. Credo che alcuni vicini di casa della mia infanzia si ricordino ancora le scene di dramma familiare all'ora di cena quando mia madre, donna in carriera, stanca dopo ore interminabili di lavoro in citta' tornava a casa per spadellare delizioso cibo che io, puntualmente, rifiutavo col mio famoso “no!”. Gli scenari della nostra quotidianita' erano, in quel frangente, principalmente tre: se mia madre era in buona, cercava di giocare sul mio senso di colpa, fingendosi vittima di un incantesimo paralizzante che avrebbe potuto essere sciolto solo con la consumazione da parte mia della portata in questione; se la sciura Angela si sentiva energetica, allora ci si esibiva in rincorse per il cortile del condominio, dove i vicini di casa tifavano per me, incitandomi a correre piu' veloce di quella povera donna brandente una forchetta; se, infine, mia madre ne aveva le scatole piene, poteva succedere che il cibo, ormai freddo e molliccio, finisse direttamente in testa alla sottoscritta (e ancora ne rido). Tuttavia, la legge del Karma sta rimettendo le cose al proprio posto, perche' adesso sono io a dover fingere incantesimi et similia per convincere a mangiare gli utenti con i quali lavoro.
La seconda foto ci ritrae alle prese con il mitico slittino di legno nell'inverno del 1985, quello della leggendaria nevicata da guinness. Mia madre, che ama sciare e stare all'aria aperta, ha cercato di fare di me una persona attiva, amante degli sport invernali, ma la mia istintiva tendenza al “no!” mi ha portata, nel corso degli anni, a ripudiare tutto cio' che fosse freddo, nevoso o ghiacciato, con buona pace dei soldi spesi per lezioni di sci e pattinaggio su ghiaccio. L'ironia della vita mi ha portata a vivere in Canada, proprio in una delle province piu' fredde e nevose della nazione, alla faccia dei miei recalcitranti no. Il Karma ha colpito ancora, I guess.
Se avessi altre foto, sarebbero quella di mia madre con i pantaloni a zampa d'elefante negli anni '70 ed un paio di zeppe che, anni dopo, ruppi nel corso di un festeggiamento postumo del compleanno di Freddie Mercury con i miei compagnucci d'avventura, quando bevemmo latte in bicchieri di cristallo ottenuti da mia madre tramite raccolta punti al locale Despar (all'epoca il veganismo c'era ignoto). Ci sarebbe anche la foto di noi sulle Dolomiti, mia madre spavalda e ancora giovane, io decenne sfatta da ore di nauseabonda via crucis in macchina su per i tornanti del Trentino, nel corso della quale veniva sperimentata l'innovativa tecnica del “fai finta di guidare, Laura! Vedi che non ti viene il vomito!”, sulla quale rimangono opinioni contrastanti e il ricordo degli sguardi curiosi degli altri automobilisti per una bimba in preda ad allucinazioni da travelgum. L'altra foto che avrei e' quella che ritrae me e mia madre vestite entrambe in tuta ginnica rossa anni '80, mentre partecipiamo ad una corsa campestre nei boschi del paesiello natio. Questo reperto fotografico immortala gli istanti precedenti alla mia inconsapevole fuga, quando la mia ben nota capacita' di essere distratta dalle piu' banali quisquiglie mi porto' ad imboccare il percorso dei dieci chilometri in un attimo di distrazione di mia madre, che era invece lanciata per quello da cinque. Dopo aver gloriosamente portato a termine la corsa, assieme a totali estranei, forse leggermente incuriositi da questa bambinetta in solitaria, mi ricordo ancora la faccia dei miei genitori che, con un misto di indicibile sollievo e ira funesta, mi riportarono a casa in bicicletta per evitare ulteriori fughe podistiche.
Tante altre foto vorrei avere ora, anche quelle che non sono state scattate e che immortalano i compiti e le tavole d'arte fatti insieme a mia madre fino a notte fonda, le sere passate a guardare il “Drive in” in televisione, alla faccia dei genitor bacchettoni che ne vietavano la visione ai figli, i pranzi della domenica, che non era ammissibile perdere anche se abitavo gia' a Milano, gli addobbi (di casa e addirittura di gatti) per quando tornavo a casa dopo aver superato un esame, quella volta che presi nove meno in greco e mia madre punto' il dito su quel meno, le volte che ha cercato di insegnarmi a stirare, a cucire, a fare a maglia, a fare giardinaggio, a capire come si leggono libri contabili ed affini, ecco, tutte quelle volte che avrei dovuto ascoltare e, invece, seguendo il mio anarchico spirito del “no!” ho rifiutato d'imparare. E adesso, ad anni e chilometri di distanza, mi rendo conto di quanto di mia madre ci sia in me, a discapito di tutte le negazioni e di tutti i piatti di riso rovesciati in testa..
Buon compleanno, mamma!

domenica 8 febbraio 2015

Pollo forever!

San Valentino è vicino. Sembra una minaccia, resa concreta da orde di peluches dagli occhi languidi e di oggetti cuoriciosi di ogni tipo, nonché da tonnellate di cioccolatini zuccherosi che indiabetiscono la mia ben nota avversione per le romanticherie.
Il povero Pollo, a dispetto del soprannome di Barbarian, è invece un romanticone di prima categoria e, nonostante minacce di rappresaglia da parte mia, si è già presentato a casa con Elsa, un peluche a forma di elefante dagli occhi tristi tristi.
Ma la romanticheria del Pollino ha toccato il culmine quando, a Roma, ha cambiato il corso degli eventi di una vita apparentemente nata sotto il segno dello zitellaggio (la mia!) e mi ha chiesto di sposarlo (sì, cacchio!).
Ma vediamo come si sono svolti gli epici eventi della dichiarazione...
Con destrezza da spia russa, a Venezia il PiccoloPollo mi aveva segretamente acquistato un anello plasticoso giallo che, a parer suo, ben s'intonava alla mia personalità e, a questo punto, dopo giorni e giorni di influenza gastrointestinale, probabilmente anche al mio colorito. Il suddetto pegno d'amore era però stato rubato a Tiburtina da ladri poco portati per analisi di mercato e definizione del target e le cui fidanzate si staranno sicuramente disputanto il mio pregiatissimo monile.
I piani di Pollo per la proposta matrimoniale prevedevano una romantica gita alla Fontana di Trevi, con bacio a casqué tra folla plaudente e MammaCanadesia in lacrime. Peccato che il Comune di Roma abbia deciso di dare una ritoccatina alla famosa fontana, che all'epoca dei fatti appariva prosciugata dell'acqua, impacchettata per bene ed attraversata da una sorta di passerella dei pirati sulla quale una mesta fila di turisti faceva la propria traversata a mo' di galeotti in catene.
Ma il mio Barbarian non è tipo da arrendersi di fronte alle avversità della vita e così, approfittando di un mio allontanamento dovuto ad una momentanea debolezza da saldi, zitto zitto mi ha acquistato un anello fake made in Murano (probably made in China), tipo quelli che compravamo col Cioè e che si possono stringere o allargare a seconda della dimensione del dito.
A questo punto, insistendo sul valore artistico della passerella sulla fontana vuota ed impacchettata, il Pollino mi ha spinta ad unirmi alla fila di turisti polacchi in procinto di compiere la traversata e, siccome pare ci siano una faccia ed un contegno da proposta matrimoniale, ha iniziato a sfoggiare una serietà da funerali di stato, tanto da farmi pensare “ecco, adesso questo mi molla”.
...e invece no!
A metà fontana ecco che tira fuori l'anellino del Cioè e mi chiede di sposarlo!
Ovviamente, nell'eccitazione del momento e nel tentativo del famoso bacio a casqué, io e Pollo inavvertitamente blocchiamo la fila di turisti dietro di noi, tanto che, da sotto, si ode il fischio con rimbrotto della guardia il cui compito è assicurare la fluidità della coda. E noi, un po' mortificati e un po' romanticosi, percorriamo la restante parte della passerella dei pirati correndo tutti rossi in faccia e cercando di non inciampare in pezzi malfermi di cemento. Quando mostro a MammaCanadesia il mio anello di fidanzamento, non credendo alla notizia, se ne esce con un esilarante “spero tu non sia allergica ai metalli da quattro soldi”. Inutile dire che mia madre e mio padre stanno ancora ridendo per l'intera vicenda (e probabilmente anche perchè finalmente qualcuno mi piglia).
Un paio di ore più tardi, andiamo a festeggiare in una strana taverna gestita da un signore di circa ottocento anni e qui mi accorgo che il pregiato anelluccio è di impossibile rimozione perchè il mio amato, nella foga del momento dichiaratorio, me l'ha eccessivamente stretto attorno all'anulare. Mentre progetto tentativi di salvataggio di anello e dito con chili di sapone, il buon Pollo fa lo sborone e decide di darmi prova delle sue abilità da Houdini e così, armato di due coltelli da tavola, fa del suo meglio per sfilare il pegno di fidanzamento. Pochi secondi più tardi, stiamo tutti e tre contemplando lo sdoppiamento del mio anello che, ovviamente, non ha retto alla delicatezza del tocco barbarico e che ora è un pegno d'amore in due parti, la cui unicità me lo rende ancora più caro, salvandomi al contempo dal doverlo indossare, olè!
Siccome io e Pollino siamo due couch potatoes, ovvero due esseri pigri ed indolenti, probabilmente ci sposeremo sul divano di casa nostra tra dieci anni, o forse invece organizzeremo un matrimonio a tema dove gli invitati dovranno vestirsi da personaggi storici canadesi. L'importante è che, matrimonio o non matrimonio, siamo davvero la sola ed unica Pollo Family on the planet!

domenica 25 gennaio 2015

Pollo&MammaCanadesia alla scoperta dell'Italia


Eccoci qui, ritornati nella lovely, lovely Edmonton dopo tre settimane di furore in Italia, dove la famiglia canadese (Pollo&MammaCanadesia) ha potuto incontrare quella italiana, nell'ambito del progetto internazionale “ammazza quanto ce piasce la lasagna (vegan)”.
Il tour ha avuto inizio con la fuga dal Canada in una tipica giornanta glaciale edmontoniana, durante la quale l'entusiasmo del viaggiatore è incredibilmente rimasto intatto per tutte le venti ore di peregrinazione tra Nord America ed Europa, nonostante agenti doganali poco “friendly”, nonostante la sindrome da sedere piatto e nonostante l'herpes di dimensioni bibliche che mi compare ogni volta che ritorno in patria.
A Milano, il comitato di benvenuto ha egregiamente introdotto la Canadian Family agli usi e costumi locali, come il parcheggiare in divieto di sosta per poi contrattare coi vigili su possibili multe, la guida sportiva a scossoni nel traffico milanese, lo stipare in macchine ridicolmente piccole cose e persone che le leggi della fisica vorrebbero in spazi molto più ampi. A tutto ciò, mia madre ha aggiunto un tocco distintivo: l'attentato alla vita di mio padre, spinto a velocità supersonica su di una carrozzina del '15-'18, mentre il pubblico canadese assisteva basito. Letterale commento di MammaCanadesia "Italians are crazy".
La permanenza dai miei è stata scandita da visite di amici e parenti con diversi livelli di padronanza della lingua inglese ma tutti contraddistinti dall'incredibile voglia di comunicare con Pollo e MammaCanadesia e tutti propensi al rituale del bacio&abbraccio, usanza non molto diffusa qui in Ghiacciolandia, dove il toccare il tuo interlocutore “Italian style” ti fa passare per maniaco e libidinoso. Oltre allo tsunami amico-parentale, i due poveri canadesi sono stati investiti pure da quello culinario, che ha reso vero e tangibile lo stereotipo del “mangia, mangia!” e che ha trasformato pranzi e cene in interminabili riti di iniziazione alla cucina locale (in chiave vegan) e all'uso di bevande alcoliche durante i pasti, tabù in Nord America. La pennichella postprandiale è diventata consuetudine consolidata soprattutto grazie a mia madre che, con premura materna e sguardo rapace, attendeva che il duo si sedesse sul divano per coprirli con la copertina da riposino con tanto di sigillatura dei piedi a mo' di fagottino.
Per far apprezzare il Bel Paese a MammaCanadesia, che non è praticamente mai uscita dal Canada, io e Pollo abbiamo deciso di organizzare delle spedizioni a Venezia, Roma e Napoli. Ovviamente, le nostre doti organizzative e di gestione del tempo ci hanno portati a pianificare il tutto all'incirca la notte prima della partenza, conferendo alle circostanze una nota, come dire, di suspance ed un'aura da bettole di quart'ordine raccattate online.
A Venezia tutto è filato liscio: ottimo ostello, cibo decente, tempo non troppo schifido. In più, abbiamo trovato due guide d'eccezione in Gabry e Guido che, a colpi di vinello, ci hanno fatto perdere, ops, immergere nella Venezia più famosa così come in quella meno nota.
L'avventura romana è stata un po' più complicata...tipo che a due nanosecondi dall'arrivo a Tiburtina lascio Pollo da solo per cinque mintuti al bar della stazione e, al ritorno con espresso in mano, lo ritrovo derubato del suo bagaglio. Connotati e mole da nordamericano lo hanno reso un visibile bersaglio per i borseggiatori, che hanno utilizzato il noto schema ”uno lo distrae e l'altro lo deruba” e che e, contando su un'agilità un poco migliore di quella del mio Barbarian da 150 kg, lo hanno seminato alla prima rampa di scale, dopo un inseguimento alla Benny Hill.
Quest'episodio ha messo in risalto una delle principali differenze culturali tra italiani e canadesi: loro si fidano della gente, noi ci fidiamo della nostra mano sul portafogli. Nonostante li avessi messi in guardia da quisquilie come borseggi, truffe et similia, anni ed anni di porte lasciate costantemente aperte, di autobus dove non ti devi aggrappare alla borsetta, di paesi dove non ti rubano la macchina manco se la lasci accesa con chiavi inserite, hanno reso i miei canadesi due individui troppo fragili per sopravvivere indenni alle metropoli nostrane. Grazie al cielo, nello zainetto sottratto con l'inganno al povero Pollo c'erano praticamente solo i suoi vestiti, con i quali i borseggiatori avranno probabilmente confezionato delle tende, ma per sostituire i quali abbiamo sacrificato una giornata intera e 200 e passa euri in un negozio di taglie forti zona Vaticano, dove la XXL nordamericana viene venduta come una XXXXXL italiana, a beneficio dell'autostima di Pollo
A parte questo spiacevole evento iniziale, il dream team se l'è spassata alla grande nella capitale e la mitica Rosse' ci ha pure introdotti ai segreti della muratura dell'antica Roma...ammazza! Pollo è addirittura riuscito a resistere all'invitante richiamo dei venditori ambulanti e non ha acquistato nessuno selfie stick né alcun orrido dipinto, tipo quello che, comprato in piazza Navona da un artista di strada, ancora giace negletto in qualche polveroso angolo del nostro garage a Edmonton e forse vedrà di nuovo la luce sulla parete del bagno.
Prima di approdare a Napoli, ho esercitato un po' di terrorismo psicologico sul duo canadese, giusto per prepararli all'evenienza di ulteriori borseggi. La mia notoriamente pessima capacità di previsione ha però fatto sì che Pollo e MammaCanadesia si ritrovassero “scoperti” sul fronte “guerriglia stradale urbana partenopea”, e tale miopia li ha resi più vulnerabili di un pacifista hippie per sbaglio lanciato in Vietnam in un giorno a caso degli anni Sessanta. Dopo aver infatti rischiato molteplici volte di essere stirati da vari tipi di veicoli su marciapiedi, in aree pedonali e credo anche nel corso dei loro sogni notturni, i miei due canadesi hanno decretato che Napoli non faccia per loro e che dovrebbe essere classificato come crimine contro l'umanità l'importare in un ambiente dalla densità umana di un formicaio affollato delle persone abituate a vivere in una nazione che ospita trentacinque milioni di abitanti su una superficie più grande dell'Europa.
I ricordi che si portano a casa da Napoli sono la folla oceanica per il tributo a Pino Daniele, il letto rotto dal Pollo all'ostello ammuffito dove alloggiavamo e una foto ricordo indelebilmente stampata nella loro memoria di una famiglia di tre persone tutte allegramente a bordo di un minuscolo motorino, senza casco e con un barboncino bianco in braccio.
Sul treno Napoli-Milano il sollievo dei Canadians era palpabile...peccato che poi abbiano provato a truffarli pure sul Malpensa Express, aaah!
Il ritorno nella waste land edmontoniana ci è costato altre ottomila ore di viaggio, tre check-in e interminabili chilometri macinati all'interno di aeroporti vari, mentre la depressione post Italia è stata affrontata a suon di vinello e taralli comprati all'Italian Center locale e con sessioni di pet therapy con Phelony, reduce da tre settimane di vacanze dallo zio ed un'aggressione ad un cervo decorativo nel giardino dei vicini.
Adesso ci aspettano i preparativi per un altro viaggio, ma questa è un'altra storia...