mercoledì 22 giugno 2011

Alla laundry in Pennsylvania....

Seduta nella mia Sweet Princess (la cui manutenzione ultimamente mi sta costando quanto quella di una porsche cayenne), attendo nel parcheggio della lavanderia a gettoni che la washer machine compia il proprio dovere e mi preparo ad affrontare la lotta per la famosa asciugatrice gratis del mercoledì, che oggi sembra più dura che mai.
Guardo la variopinta e chiassosa folla che satura la Big Bubble laundromat e, a tratti, sento fortissima la mancanza degli Amish, che solo una settimana fa mi prodigavo a non investire con la Volvo di Kamalita nel corso di un epico viaggio in Pennsylvania. L'altissimo scopo della spedizione consisteva nel capire perché mai gli Amish si ostinino a non usare la XBox e a non volersi dotare di Blackberry.
Nonostante alla fine di due giornate molto bucoliche tali quesiti rimangano un irrisolvibile mistero, il saggio antropologo ha comunque avuto modo di osservare alcuni significativi dettagli relativi allo stile di vita cosiddetto “plain”.
Innanzitutto, come ha acutamente osservato una sagace spedizioniera, da quelle parti “there's too much God”. Quando i bagels della colazione ti vengono serviti su una tovaglietta di carta con sopra stampate delle mani giunte in preghiera ed una serie di invocazioni tratte da diverse religioni e sul conto del caffè che hai appena bevuto la cameriera con cuffietta bianca inamidata ha scritto a penna “God bless you”, non si può che convenire col fatto che in Pennsylvania Dio sia alquanto inflazionato.
In secondo luogo, se non è vero che tutti gli Amish rifiutino l'uso della moderna tecnologia, è incontrovertibile il fatto che tutti gli uomini della comunità sfoggino il medesimo taglio di capelli, che è piuttosto simile a quello che i miei familiari mi imponevano da piccola: un caschetto da nerd. Se la tradizione vuole che gli Amish ripudino l'utilizzo di apparecchi elettrici, oggigiorno anche nella provincia pensilvana più mormona i nostri oggetti di studio iniziano a fare ricorso ad alcuni dei frutti del mondo moderno: come dimenticare la donnina con tipico grembiulino e tipica cuffietta, tutta intenta a tagliare il prato con un ultra tecnologico tagliaerba? Se nella maggioranza dei casi, i campi vengono arati con l'ausilio di poderosi cavalli da tiro, il saggio antropologo noterà che qualche Amish più sgamato utilizza il trattore a benzina e che quasi tutti i contadini da noi incontranti guardavano con malcelata invidia la Tractor Mobile di Kamalita che, colta in zona New Jersey da un buco nella marmitta, ci ha deliziati per tutto il viaggio con un boato tipico, appunto, dei trattori, status symbol del mondo rurale.
In terzo luogo, la locomozione locale presenta bizzarre peculiarità perché i mezzi di trasporto più popolari della Pennsylvania sono i buggies (le carrozzette trainate da un cavallo), uno pseudo monopattino biciclettoso e, per gli Amish più corrotti dalla dissoluta modernità, la bicicletta con tanto di pedali. Muoversi sulle strade della Lancaster County implica quindi essere pronti a sorpassare senza alterigia Amish alle redini di piccole carrozze nere, che gentilmente ammiccano all'ennesima foto scattata dalle macchine in corsa, oppure giovincelli dall'aspetto nordeuropeo che corrono veloci su monopattini elisabettiani.
Per il saggio antropologo rimane un mistero l'ubicazione delle cabine del telefono comunitarie, grazie alle quali gli Amish possono comunicare con altri Amish dispersi per l'immensa America: pare infatti che a nessuno sia consentito possedere un proprio telefono, in quanto nocivo a virtù come l'umiltà e la semplicità.
Vedendo quanto ci si insulta, in inglese e pure in spagnolo, per contendersi le asciugatrici in quel di Kingston, onestamente oggi sento proprio la mancanza di quei silenziosi e gentili omini col caschetto da nerd: da loro non ho mai udito parole irripetibili, non ho mai ho visto alzare minacciosamente il dito medio o tanto meno ho assistito a risse che nemmeno nel miglior campionato di wrestling. A pensarci bene, quasi quasi settimana prossima vado a fare la laundry in Pennsylvania....

giovedì 16 giugno 2011

Welcome to Poughkeepsie...

Svariati sono i motivi per cui tutti dovrebbero conoscere Poughkeepsie: ci viveva una delle fidanzate di Ros di Friends (ma lui l'ha lasciata perché abitava troppo distante da New York); ha visto infanzia ed adolescenza dell'ormai famosissima Snooki di Jersey Shore e tuttora è residenza del padre che, a quanto dicono, è orgogliosissimo della figlia libertina; in Ally McBeal, John Cage usa il nome della città per cercare di risolvere i propri problemi di balbuzie; infine, ci hanno ambientato un trucido film dell'orrore (pardon, un mockumentary, o documentario farlocco) chiamato, appunto, The Poughkeepsie Tapes.
Non so dire con esattezza per quante ore alla settimana percorro le strade di Poughkeepsie, ma credo che il numero si aggiri intorno alla ventina, perché ci tocca scorrazzare di qua e di là con gli utenti del centro diurno, travestendo questo girovagare da attività educativamente rilevante. Nonostante il mio senso dell'orientamento (pari a quello di una zucchina gialla del Vermont) non mi consenta ancora di raggiungere senza gps il mitico centro commerciale dal fantasioso nome di Poughkeepsie Galleria, posso ormai vantare un'ampia conoscenza della popolazione locale, che è composta per la stragrande maggioranza da persone di colore. Devo tale conoscenza alla mia collega Michele che, circa ogni mezzo miglio, incrocia qualche suo parente, amico, conoscente o conoscente di conoscente.
In base ai dati raccolti tramite questa action-research, il saggio antropologo noterebbe che ogni famiglia poughkeepsiese ha almeno un membro che è stato o tuttora risiede in carcere o in riformatorio o per rimettere in libertà il quale è stato necessario vendere il suv per pagare la cauzione. In quanto a criminalità, Poughkeepsie si fa beffe del Bronx, anche se tutti gli abitanti sono pronti a giurare e spergiurare che sia una città sicura. Peccato che il resto dell'universo mondo sia convinto del contrario.
I miei personaggi della mala preferiti sono lo Zoppetto e la Skinny Junkie: il primo cammina claudicando per le vie del centro per via del fatale errore commesso nel rubare dei soldi al tizio sbagliato il quale, armato di mazza, gli ha spaccato entrambe le gambe (e il commento unanime dei poughkeepsiesi è “conviene sempre sapere a chi si ruba del denaro”); la seconda è quella per cui tifo da che sta acquistando adipe su adipe nel lungo cammino della disintossicazione da crack. E vedendo quanto si spaccia per le strade della città, si può capire quanto sia difficile restare puliti quaggiù. Ma il mio criminale prediletto è quel conoscente della Michele che, dopo aver commesso un furto, è riuscito a sfuggire dalle grinfie dei policemen correndo più veloce di Nembo Kid: si racconta che la gente presente all'inseguimento facesse chiassosamente il tifo per il ladruncolo palestrato e che, nel corso dell'azione, un poliziotto sia rovinosamente caduto al suolo tra le risate generali. Ai più famosi fuorilegge fa da sfondo una moltitudine bianca (chiamata simpaticamente white trash), nera, latina che arranca a fatica da un cestino dell'immondizia all'altro, per raccattare lattine e bottigliette di plastica e ricavarne qualche centesimo portandole nelle strutture per il riciclo o che si aggira per le mensa gratuita del centro dove lavoro, sperando di trovarvi cibo e, se sono “fortunati”, anche il proprio spacciatore di fiducia.
Poughkeepsie pullula di quartieri composti di case abbandonate dai proprietari dopo che un inaspettato intervento del comune ha intimato di sistemare le mura fatiscenti o il tetto marcio: ma chi ce li ha i soldi per pagare la ristrutturazione? E allora conviene sigillare le finestre e le porte con assi di legno (spesso marce anch'esse), sperando che nessun homeless o nessun crackomane decida di eleggere proprio quel prefabbricato decadente a proprio giaciglio. E poco importa se in ogni dove abbiano appeso cartelli che intimano “no loitering” (non bighellonare), perché l'oziare-con-birra-in-mano generalmente tracima dalle verande per invadere strade, cortili, parcheggi...
La parte ricca di Poughkeepsie è tendenzialmente bianca, anzi, immacolata e generalmente non ha bisogno di cartelli intimanti “no tespassing” o simili, in parte perché il senso di inadeguatezza e di pezze al sedere ha un certo successo nel tenere lontani i poveracci, un po' perché credo che ogni intruso corra il concreto rischio di provare sulla propria pelle quanto sia qui apprezzato il secondo emendamento della costituzione americana. La Michele un giorno mi ha portata in tour per le super ville gigantesche dei quartieri alti e ho potuto apprezzare il disagio nell'essere squadrati da desperate housewives ben vestite e pronte ad andare a giocare a tennis.
Insomma, tutti dovrebbero conoscere Poughkeepsie...

giovedì 2 giugno 2011

La casa dov'è?

L'altro giorno sono stata sorpassata da un mega tir sulla highway 28.
Nulla di particolarmente sorprendente, visto che sono l'unica (a parte Kamalita e la sua NepalMobile) a rispettare gli speed limits ed a vivere nel sacro terrore dello sceriffo di Woodstock. Nulla di sorprendente, se non fosse che sul tir viaggiava, bella comoda e con aria strafottente, un'intera villetta, di quelle uscite direttamente da Desperate Housewives. 
Lì per lì ho fatto la lista di allucinogeni da me assunti nel corso degli ultimi dieci giorni e, risultando io pulita se non per le massicce dosi di peanut butter che ingerisco, ho dedotto che la casa fosse reale e che la spiegazione dell'avvistamento non fosse da cercarsi in uno scherzo del mio cervello, bensì nelle abitudini abitative degli americani.
Il solito saggio antropologo non mancherebbe di osservare con sommo interesse come, con l'arrivo della primavera, fioriscano lungo le strade o a ridosso dei centri commerciali delle curiose esposizioni di...case! Case in legno, case in plastica, case in compensato, gazebo in legno, garage e capanni per gli attrezzi del buon giradiniere-tagliaerba della domenica fanno gioiosamente mostra di sé di fianco ai Mc Donald's, di modo che, bevuto il milk shake (o la nuovissima e chimicissima Strawberry Lemonade) e finito il double cheeseburger, l'americano della provincia, dissetato e sfamato con i migliori prodotti culinari reperibili nella terra della libertà, possa acquistare in tutta tranquillità la propria villetta prefabbricata dei sogni e portarsela appresso caricandosela sul pick-up o magari chiamando il vicino possessore di tir.
E che importa se i risparmi se ne sono tutti andati per pagare l'apparecchio per i denti del bambino o l'ultimo I-Pad: qui è così semplice accendere un mutuo e nessuno ti chiederà mai altre garanzie se non la tua bella faccia americana. Sovente, però, i possessori di casetta con tanti pesci rossi e tanti fiori di lillà che, avendo speso l'ultimo centesimo da Abercrombie&Finch, rimangono indietro con le rate del mutuo vanno ad incrementare le fila della casta degli homless with car che quotidianamente parcheggiano di fianco alla mia Sweet Princess in quel di Poughkeepsie.
Questa trista popolazione in costante aumento è composta perlopiù da bianchi (anche se non mancano persone di colore) che, dopo il rapace intervento delle banche, sono costretti a stipare i propri beni in macchina e a peregrinare di parcheggio in parcheggio, sperando che nessuna gang locale o nessun bullo di periferia prenda di mira il loro piccolo guscio di noce.
Generalmente, i passanti dimostrano poca o nessuna compassione per questi malcapitati e non so spiegarmi se si tratti di una totale mancanza di cuore, oppure di una forma di scongiuro ed autodifesa da parte di chi, dentro di sé, sa benissimo che un simile destino potrebbe bussare alla propria porta nel giro di pochissimo tempo, facendo rimpiangere di aver speso quei quaranta dollari per le scarpe Nike della figlia di otto mesi o quei dieci dollari al take away giamaicano.
D'altra parte, anche se paghi con regolarità e zelo tutte le rate del mutuo, nessuno può mettere la tua magione al riparo dai tornados che imperversano sul territorio americano e che, in anni recenti, hanno iniziato a visitare anche zone sicure come il mio caro stato di New York, dove tutti vanno giù di testa quando alla radio bloccano ogni trasmissione per annunciare l'arrivo di una tempesta o, peggio ancora, un tornado alert. Ed effettivamente immaginare le fragili casette in compensato impegnate a fronteggiare i twisters fa venire come minimo la pelle d'oca, così come per me è motivo di sconforto ogni discesa nel basement della nostra casa a Kingston, perché confrontarsi con delle fondamenta profonde quanto una buca scavata da un bimbo di cinque anni nella sabbia e composte da travi in legno marcio del '15-'18 non rassicurerebbe nessuno, e in particolar modo chi, come noi, ha per vicini una numerosa famiglia di woodchucks amanti del legno...
Ai costruttori di case americani voglio solo dire grazie per regalarci ogni giorno l'ebbrezza di non sapere se la nostra dimora vedrà il sole anche domani! Grazie per farci vivere pericolosamente la piatta vita della provincia!