lunedì 31 gennaio 2011

Aspettando Amos Tupper

Eccomi qua, in un motel di quelli che si vedono nei film, seduta su un letto che pretende di essere singolo, ma che in realtà potrebbe ospitare me e tutta la mia famiglia: gli americani pensano in grande, come confermano anche le dimensioni dei bicchieri per le bibite nei fast food, con il cui contenuto un elefante potrebbe farsi comodamente il bidet.
Sono nel Maine, in un paese con un nome che i miei neuroni faticano ad immagazzinare (S-k-o-w-h-e-g-a-n) e mi pare che da un momento all'altro possa fare irruzione lo sceriffo Amos Tupper di Cabot Cove per chiedermi una mano nella soluzione di un caso particolarmente complicato.
Vagli a spiegare che sono la persona meno indicata per svelare misteri! Infatti, mi è ancora misterioso il funzionamento del mio conto alla Bank of America, mi è oscuro il motivo per il quale oggi ho compilato talmente tanti moduli che l'Amazzonia ne porterà per anni le ferite e mi è anche ignota quale divinità mi assisterà mentre percorrerò i 500 e passa chilometri che mi separano da Kingston, sotto la minaccia di una snow storm.
Sono in un motel nel Maine (l'ho già detto?) e indosso un pigiama con una mucca stampata sul sedere, mentre molti dei compagnucci sono andati a sbevazzare in un improbabile bar del paese...l'età inizia a farsi sentire e l'avitaminosi che mi sta provocando il cibo locale non potrà che peggiorare la mia condizione. Speriamo che i nuovi amici siano compassionevoli e mi portino ogni tanto degli integratori o anche semplicemente della frutta che non sembri appena uscita da qualche set di Hollywood per quanto è prefetta e lucente.
Domani dovremmo comprarci una macchina alla Bo&Luke...non vedo l'ora di poter entrare dal finestrino indossando pantaloncini di jeans simil-francobollo!
Ora vado a dormire eccezionalmente serena e con due paia di calze pesanti, perchè forse sto veramente iniziando a capire cosa voglia dire “going with the flow” e sicuramente ho realizzato quanto fredda possa essere la notte qui a Skowhegan.

martedì 25 gennaio 2011

Come dirlo a Chiara?!?!?

A meno di una settimana dalla partenza, il non aver ancora confessato a Chiara che me ne andrò per un annetto e passa mi sospende in una strana condizione limbica: se non ammetto con lei che sto per partire, per lei non parto e magari questa situazione creerà un cortocircuito tale per cui, in una realtà parallela, io non lascio l'italico suolo e me ne resto con lei a sistemarle trucco e parrucco. Lo so: è assolutamente "furibondo", come direbbe il mio amico Roby, che un cranio così piccolo come il mio possa offrire ospitalità a tanti pensierini folli e bizzarri.
Mi sto in effetti rendendo conto di avere un'estrema difficoltà a congedarmi da persone, animali e cose e questo rende ultimamente assai complicata la gestione della quotidianità, perchè ci sono amici e conoscenti che, finora, ho salutato circa 47 volte, mentre al contempo esiste una schiera di esseri totalmente ignari della mia fuga statunitense.
Una di queste è, appunto, Chiara. Ed è patetico che nemmeno oggi io sia riuscita a prendere in mano il telefono per chiamarla e dirle che me ne vado. Soprattutto dopo che mi ha spezzato il cuore regalandomi una deliziosissima ciotola colombiforme in finta porcellana (della Avon!!!) che era appartenuta alla nonna estinta e che, per ragioni di spazio e di selezione dei cimeli, è venuta a costituire un pregiato dono di Natale nonchè, in futuro, un'ottima candidata a raccogliere le mie ceneri.
Domani le scrivo una mail, però, così le dico anche che le sue marmellate le abbiamo messe da parte e che ci possiamo scrivere ogni tanto. Ma Chiara, lo so già, non è tipo da essere liquidata così, in questa maniera poco elegante! Già m'immagino quest'omone grande e grosso, ancora più alto con i tacchi 12, tutto truccato e profumato, ma con i denti rovinati per la sua irrefrenabile golosità, che se la prende con il mio collega AmbroginoBbello e, continuando a dire "Come?!? Come?!?", inizia a nascondere gli oggetti per rappresaglia.
Persona singolare, la Chiara! Mi mancheranno tanto i suoi miliardi di volantini per promuovere gli eventi più disparati, il suo impeccabile completo da hostess, i suoi coriandoli perennemente annidati sotto i mobili e nei cassetti, i suoi bacetti col rossetto chanel.
Domani la chiamo. Magari dopodomani...

martedì 18 gennaio 2011

Shopping e selezione naturale

Quanta solitudine nel farsi largo tra le giacche a vento, mentre mani sconosciute e ostili ti sollevano per spostarti sempre più lontano dalla tua meta finale che, puntualmente, si rivela essere l'ennesimo capo imbottito di piume d'oca, per nulla cruelty free.
Essere diversamente alti nella stagione dei saldi può rappresentare un problema di non poco conto, e non mi riferisco solo alla mancanza di ossigeno che caratterizza gli strati infimi dell'atmosfera, ma parlo soprattutto di una serie di circostanze che ti portano, piano piano, ad accumulare astio e risentimento per i gomiti altrui che, essendo ad altezza occhiali, vanno regolarmente schivati per evitare cecità, lesioni permanenti al volto o fastidiose scheggiature agli incisivi.
Mi chiedo come sarà in terra straniera, dove la distanza tra me e le teste altrui sarà ancora più fantasmagorica e dove dovrò difendere il mio quattrocchismo non già da gomiti, ma da ginocchia inopportune e allofone. Sarà difficilissimo per me non solo sopravvivere alla massa umana nei negozi, ma addirittura arrivare agli scaffali per comprarmi mutande di flanella che mi difendano le chiappe dal vento freddo dell'Hudson o - panico e disperazione - raggiungere il banco verdure o quello del seitan. E allora è possibile che deperirò fino a ridurmi alla consistenza di una prugna secca, oppure la selezione naturale chiuderà un occhio e io e la mia stirpe impareremo a ricavare proteine e B12 dalle bacche cadute al suolo e dai rifiuti che i vegani statunitensi, sbadatamente, faranno cadere per terra.

Lo scenario, ovviamente, sarà quello di Fuga da New York e io sarò vestita tale e quale a Kurt Russel (ma io avrò preso i vestiti nella sezione neonati di qualche Wal Mart...ovviamente solo i capi caduti al suolo).
A pensarci bene, forse dovrei iniziare ad ordinare i miei vestiti e pure il mio cibo via internet, di modo da mettermi al riparo dagli spilungoni discinetici e dalle allucinazioni dovute alla mancanza di ossigeno nei bassifondi dall'atmosfera.
Lego quindi la mia sopravvivenza alla rete wi-fi di Kingston, NY.


domenica 16 gennaio 2011

Dell'ambiguo rapporto con la sacher vegan

Mi sveglio la mattina con la solida convinzione di aver fatto una boiata tremenda.
E questa sensazione è concreta e pesante come la sacher vegan di mia madre piazzata direttamente sullo stomaco. Non potrei dire di non aver voluto questa sacher, ma so con certezza che, attualmente, l'oggetto cioccolatoso sta metaforicamente ostruendo i miei dotti biliari, le mie arterie e persino le mie sinapsi.
La sostanza è questa: tra meno di due settimane parto per gli Stati Uniti, con la prospettiva di rimanerci un anno o più, immersa fino al collo (non che sia una grande altezza) in culura e lingua a me aliene e tra persone forestiere.
L'avere a che fare con la concretezza travolgente di questo quantum leap mi paralizza nel letto ad ogni risveglio e mi porta ad interrogarmi sull'oscura provenienza della dannata voglia di cambiamento e avventura che, mesi fa, mi ha portata sulla strada dell'emigrazione.
Dopo tutto, mi dico, qui non mi manca nulla: ho persone che mi vogliono bene (ricambiate), faccio cose che mi piacciono e che non mi fanno sentire a disagio con la mia coscienza ipertrofica, vivo in una città che, per quanto grigia e nebbiosa, mi permette di non sentirmi una mosca bianca, almeno non costantemente.
La sostanza, nuda e cruda come un gambo di sedano dopo il passaggio della coniglietta Chandra Kala, è che ho una fifa blu del nuovo. Ecco, lo ammetto: mi scopro ad essere una conservatrice esistenziale. Perchè cambiare posizione sul globo terracqueo quando quella acquisita dopo anni di fatica (dalla lotta per il grembiulino azzurro all'asilo a quella per non essere scambiata per una matricola al quinto anno di liceo, specialmente nel giorno di San Firmino), ti dà soddisfazione e sicurezza? Quale morbo del seitan pazzo ha scompigliato i miei neuroni quando decidevo di comprare il biglietto per Boston?
Mah...e pensare che ho espunto i super alcolici dai miei happy hours proprio per essere più lucida nei ragionamenti...forse avrei dovuto evitare anche i felafel liofilizzati, chissà?
Con la saggezza degli incoscienti, ho deciso che, da domani (oggi ho ancora un po' di sacher sullo stomaco) mi lascio andare al flusso del fiume immaginario lungo il quale tutto è possibile ed evito di lasciarmi travolgere dalla paura dei miliardi di chilometri che mi separeranno da casa, dell'ostile grammatica anglosassone, delle persone troppo diverse da me o troppo uguali a me che incontrerò, delle grigliate di carne ammmericane, del Tea Party, delle Dodge Intrepid del 2000 col mangiacassette, della snow emergency, delle zampe di gallina in faccia, della valigia che non ho ancora comprato, dei risvegli senza pelo di gatto nelle vie aeree.
Molto di ciò che sto per lasciare mi mancherà ogni giorno in modo atroce, ma sono un ometto grande e posso navigare con perizia sul mio guscio di noce, come un provetto surfista in questo big flow.