domenica 11 agosto 2013

Dispacci dai ghiacci - Occhio alla melanzana!


Il mio corpo si esprime in maniera litica, nel senso che trova una certa soddisfazione nel produrre sassi, sassolini e pietruzze.
Mia madre ancora conserva, a mo' di lavoretto delle elementari, i calcoli che mi vennero rimossi dalla cistifellea e credo li mostri con orgoglio a parenti ed amici in visita. Ricordo ancora il risveglio dall'operazione: avevo un freddo becco ed ero assolutamente convinta di non essere in grado di respirare. Ci volle l'intervento del mio amico Roby a suon di (metaforiche) mazzate per farmi calmare e realizzare che, se avevo fiato per smadonnare, allora probabilmente non stavo morendo soffocata. Il buon Roby, infatti, con smancerie di ogni tipo ed una faccia come il sedere, era riuscito a farsi ammettere alla sala operatoria, guadagnandosi l'ambitissimo privilegio di essere l'unico tra i miei amici ad aver ammirato le mie frattaglie. Credo che dovrei donargli uno dei miei calcoli, magari incastonato in un sobrio ciondolo a mo' di reliquia, di modo che lo possa appendere allo specchietto retrovisore della sua macchina e, in caso di conversazione languente, possa tirare fuori dalla manica l'asso della mia colecistectomia e delle mie scene isteriche post risveglio.
Qualche giorno fa, il mio ossuto corpicino ha deciso di darsi alla produzione di altri pregiati monili, questa volta in ossalato di calcio, volgarmente noti come calcoli renali.
Dopo una cena a base di untissime melanzane fritte, il mio Barbaro Canadese ha iniziato ad avvertire un certo fastidio alle vie biliari (anche lui produce pietre, a quanto pare) e mi ha prontamente accusata di averlo avvelenato con la subdola arma del colesterolo. Mentre ero intenta a negare l'evidenza, sono stata a mia volta colta da dolori via via più insopportabili, che apparentemente andavano a confermare la tesi della melanzana terrorista. Dopo qualche ora di stoica negazione del dolore, mi sono ritrovata in macchina a smadonnare contro semafori rossi e lavori stradali che rallentavano la mia corsa al pronto soccorso.
Una volta giunti all'ospedale, ho potuto constatare come i canadesi siano persone discrete e dignitose anche nel dolore: tutti i pazienti erano compostamente seduti in un educato silenzio e attendevano placidamente di essere chiamati per il proprio turno. Una donna che perdeva ettolitri di sangue da un dito tagliato sedeva con serafico sorriso giusto di fianco ad un educato giovanotto con un tremendo sfogo pruriginoso, mentre una senzatetto con qualche tipo di dolorosa infezione tentava di appisolarsi senza disturbare i vicini di poltroncina. Nella sala d'attesa regnava un religioso silenzio...se si escludono i miei ululati di dolore, misti ad imprecazioni multi-lingue. Io, infatti, ero l'unico esemplare della mia razza, devota al dramma, alla vocalità, al chiasso...una scassamaroni, insomma.
Ogni due per tre inviavo il mio fidanzato a molestare qualche infermiera perorando la causa dei miei lancinanti dolori a schiena ed addome. Nel mentre, pur soffrendo come non mai in vita mia, la mia scaltra mente italica cercava di architettare piani per essere visitata in tempi brevi: dalla simulazione di un drammatico svenimento alla presa in ostaggio di uno dei pazienti (quello apparentemente meno contagioso) e così via sino all'opzione “corri oltre le barricate” che mi vedeva protagonista di una corsa alla Bolt oltre lo sbarramento dell'accettazione.
Quando finalmente sono stata ammessa nell'eden del pronto soccorso, credo che gli altri utenti abbiamo brindato alla calma ritrovata...ma sempre in modo sobrio e contenuto, chiaramente.
Mentre gentilissime infermiere mi porgevano immacolate copertine appositamente riscaldate per il paziente freddoloso, io continuavo con la mia litania di “oh-my God-oh mio dio” e “perchè è capitato a me?!?” ed anche “sto morendo!!!” ma, soprattutto, “mai più melanzane fritte!”.
Questo calvario è andato avanti per circa dodici ore, durante le quali l'immane sofferenza è stata a tratti placata da ingenti dosi di morfina che, pur lasciando inalterata la percezione del dolore, pervade tutto il tuo corpo con una sorta di menefreghismo chimico che ti porta ad un atteggiamento del tipo “sì, soffro tremendamente, ma chi se ne frega?” e ti dona il sorriso ebete del crackomane.
La lezione appresa da questa dolorosa esperienza è quindi la seguente: se vuoi che il tuo Barbaro Canadese ti tema, ulula come una iena inferocita ed impreca in lingue a lui sconosciute.

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