Il mio corpo si esprime
in maniera litica, nel senso che trova una certa soddisfazione nel
produrre sassi, sassolini e pietruzze.
Mia madre ancora
conserva, a mo' di lavoretto delle elementari, i calcoli che mi
vennero rimossi dalla cistifellea e credo li mostri con orgoglio a
parenti ed amici in visita. Ricordo ancora il risveglio
dall'operazione: avevo un freddo becco ed ero assolutamente convinta
di non essere in grado di respirare. Ci volle l'intervento del mio
amico Roby a suon di (metaforiche) mazzate per farmi calmare e
realizzare che, se avevo fiato per smadonnare, allora probabilmente
non stavo morendo soffocata. Il buon Roby, infatti, con smancerie di
ogni tipo ed una faccia come il sedere, era riuscito a farsi
ammettere alla sala operatoria, guadagnandosi l'ambitissimo
privilegio di essere l'unico tra i miei amici ad aver ammirato le mie
frattaglie. Credo che dovrei donargli uno dei miei calcoli, magari
incastonato in un sobrio ciondolo a mo' di reliquia, di modo che lo
possa appendere allo specchietto retrovisore della sua macchina e, in
caso di conversazione languente, possa tirare fuori dalla manica
l'asso della mia colecistectomia e delle mie scene isteriche post
risveglio.
Qualche giorno fa, il mio
ossuto corpicino ha deciso di darsi alla produzione di altri pregiati
monili, questa volta in ossalato di calcio, volgarmente noti come
calcoli renali.
Dopo una cena a base di
untissime melanzane fritte, il mio Barbaro Canadese ha iniziato ad
avvertire un certo fastidio alle vie biliari (anche lui produce
pietre, a quanto pare) e mi ha prontamente accusata di averlo
avvelenato con la subdola arma del colesterolo. Mentre ero intenta a
negare l'evidenza, sono stata a mia volta colta da dolori via via più
insopportabili, che apparentemente andavano a confermare la tesi
della melanzana terrorista. Dopo qualche ora di stoica negazione del
dolore, mi sono ritrovata in macchina a smadonnare contro semafori
rossi e lavori stradali che rallentavano la mia corsa al pronto
soccorso.
Una volta giunti
all'ospedale, ho potuto constatare come i canadesi siano persone
discrete e dignitose anche nel dolore: tutti i pazienti erano
compostamente seduti in un educato silenzio e attendevano
placidamente di essere chiamati per il proprio turno. Una donna che
perdeva ettolitri di sangue da un dito tagliato sedeva con serafico
sorriso giusto di fianco ad un educato giovanotto con un tremendo
sfogo pruriginoso, mentre una senzatetto con qualche tipo di dolorosa
infezione tentava di appisolarsi senza disturbare i vicini di
poltroncina. Nella sala d'attesa regnava un religioso silenzio...se
si escludono i miei ululati di dolore, misti ad imprecazioni
multi-lingue. Io, infatti, ero l'unico esemplare della mia razza,
devota al dramma, alla vocalità, al chiasso...una scassamaroni,
insomma.
Ogni due per tre inviavo
il mio fidanzato a molestare qualche infermiera perorando la causa
dei miei lancinanti dolori a schiena ed addome. Nel mentre, pur
soffrendo come non mai in vita mia, la mia scaltra mente italica
cercava di architettare piani per essere visitata in tempi brevi:
dalla simulazione di un drammatico svenimento alla presa in ostaggio
di uno dei pazienti (quello apparentemente meno contagioso) e così
via sino all'opzione “corri oltre le barricate” che mi vedeva
protagonista di una corsa alla Bolt oltre lo sbarramento
dell'accettazione.
Quando finalmente sono
stata ammessa nell'eden del pronto soccorso, credo che gli altri
utenti abbiamo brindato alla calma ritrovata...ma sempre in modo
sobrio e contenuto, chiaramente.
Mentre gentilissime
infermiere mi porgevano immacolate copertine appositamente riscaldate
per il paziente freddoloso, io continuavo con la mia litania di
“oh-my God-oh mio dio” e “perchè è capitato a me?!?” ed
anche “sto morendo!!!” ma, soprattutto, “mai più melanzane
fritte!”.
Questo calvario è andato
avanti per circa dodici ore, durante le quali l'immane sofferenza è
stata a tratti placata da ingenti dosi di morfina che, pur lasciando
inalterata la percezione del dolore, pervade tutto il tuo corpo con
una sorta di menefreghismo chimico che ti porta ad un atteggiamento
del tipo “sì, soffro tremendamente, ma chi se ne frega?” e ti
dona il sorriso ebete del crackomane.
La lezione appresa da
questa dolorosa esperienza è quindi la seguente: se vuoi che il tuo Barbaro Canadese ti tema, ulula come una iena inferocita ed impreca in lingue a
lui sconosciute.
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