martedì 17 maggio 2011

A perfect day

Quando ti svegli ad un'ora che nemmeno dovrebbe esistere e dalla finestra vedi, nell'ordine, una pioggia torrenziale, un paio di scoiattoli sconsolati e mesti per via del tempaccio e un numero eccessivamente elevato di bandiere americane troppo madide d'acqua per poter sventolare con patriottico afflato, l'unico desiderio che pervade ogni tua cellula è quello di ritornare da dove sei venuto: un comodo letto con il classico piumone sintetico delle primavere americane.
E invece no: devi aprire la finestra per irrorare il cervello di ossigeno, devi trovare le ciabatte e raggiungere al più presto la macchinetta del caffè, devi capire se è meglio insaccare di botte il coinquilino che ti sbeffeggia perché hai perso il treno che partiva all'alba e che avevi eroicamente giurato di prendere, oppure raggiungere il bagno e sperare che la doccia scuota un pochino i neuroni assopiti. Anche se una vocina insistente continua a ripetermi “stai a casa!”, a furia di mangiare tofu ogm qualche pezzo del mio dna si dev'essere modificato in modo bizzarro, facendomi cedere all'irresistibile richiamo della Veggie Pride Parade a New York City.
E così mi ritrovo ad arrancare faticosamente verso Poughkeepsie, controllando due o tre volte di non essermi dimenticata le ciabatte ai piedi, ad intraprendere una straziante ricerca di un parcheggio non a pagamento a meno di un miglio dalla stazione e a cimentarmi in un'avvincente corsa contro il tempo per prendere il treno delle 8.40.
Una volta in treno, inizio a godermi il paesaggio lungo la ferrovia sull'Hudson e, quando sono quasi felice, una telefonata m'informa che, a causa del brutto tempo, dal Farm Animal Sanctuary di Woodstock non verrà nessuno alla manifestazione. Ecco, sarò sola e sperduta nella Grande Mela!
Mentre cammino lungo Park Avenue cercando inutilmente di arrotolarmi al collo in modo glamour una sciarpa di circa tre metri, una piacevole pioggia si premura di scortarmi verso il punto di partenza della manifestazione che, incredibilmente, trovo senza smarrirmi troppo.
Se lo scenario che mi ero dipinta era quello di orde immense di vegani contenute a stento da cordoni di polizia, ciò che si presenta ai miei occhi è qualcosa di molto familiare: la classica manifestazione animalista dove il rapporto poliziotti-manifestanti è di circa tre a uno. Anzi, il Veggie Pride milanese è generalmente più affollato di quello newyorkese!
Per far finta di essere disinvolta, inizio a camminare baldanzosa tra gente vestita da carota, da pollo, da mucca e cerco di imparare qualche slogan popolare tra i vegani autoctoni (tipo “bella ciao, bella ciao, vegan, vegan revolution”, o qualcosa di simile...) e, quando mi sto ormai arrendendo all'incommensurabile solitudine del vegan italiano a New York, ecco che i miei mega padiglioni auricolari percepiscono delle parole nella mia lingua natale. Incredibile! Una coppia di ragazzi con in mano circa tremila volantini della drag queen Honey LaBronx (www.honeylabronx.com, www.vegandragqueen.com) sta conversando in italiano!
Ovviamente, mi accozzo prontamente a loro e scopro che trattasi di due vegani monzesi in vacanza nella City i quali, edotti dalla suddetta Honey LeBronx del grande veganevento, hanno come me creduto di poter prendere parte alla più grande manifestazione vegana della propria vita.
Siccome il mondo è proprio piccolo, anzi minuscolo, poco dopo incontriamo la sciura Merry, insegnante americana che ha vissuto per più di quarant'anni in Italia e che sfoggia un portentoso accento toscano; la Merry (carramba!!!) è amicissima di un mio amico vegano che non vedo da tempo e mi spara tutta una serie di eventi, associazioni, persone dell'attivismo animalista che non posso assolutamente perdermi durante il mio soggiorno negli Sates.
In Union Square Park, termine della parade, ci sono banchetti di varie organizzazioni e un paio di piccoli palchi per gli oratori. Guardandomi attorno, per un attimo mi pare di essere a casa: questa gente mi sembra identica a quella che incrocio ad eventi simili in Italia. Le categorie sono più o meno le stesse: ci sono i vegan gaudenti e golosoni, quelli incazzosi e rancorosi, quelli modaioli, quelli che fanno politica, quelli ascetici e, i miei preferiti, quelli con disturbi della personalità. Mi sento a casa!
Grazie alla strabiliante conoscenza della Vegan Guide to New York sfoggiata dai miei nuovi amici monzesi, Sara e Mattia, posso poi sfamarmi con un ottimo panozzo con felafel col quale, data la mia ben nota perizia, riesco a cibare anche il pavimento del locale, cospargendolo accuratamente di briciole e gocce di salsa di sesamo.
Dopo aver salutato i santi brianzoli che mi hanno salvata in corner dalla mia vegan loneliness, mi impongo di ascoltare l'intervento di qualche oratore e mi cucco: un folle vecchietto vegan che sfoggia gradevolissime cravatte con stampe di verdure; una signora giapponese che si esibisce in precisissime danze sullo stile tai chi; un tizio di colore che paga un dollaro per ogni risposta esatta a domande su tematiche animaliste e sbertuccia gli spettatori con la giacca di pelle; una Giovanna D'arco di un rifugio per animali da fattoria che sta diventando una delle mie eroine.
Dopo aver raccolto chili di snack dall'inquietante aspetto di guano di tacchino, ma dai quali ho già sviluppato una preoccupante dipendenza (http://www.rawrev.com/), dopo aver stipato nella borsa tonnellate di volantini, dopo aver accettato controvoglia un cd in giapponese che credo parli della dieta crudista (ma forse no), mi accingo a tornare in stazione camminando allegramente per Madison Avenue: nonostante la faccia sconsolata degli scoiattoli mattuttini, è stato un perfect day!

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