domenica 13 marzo 2011

Night shi(f)t

Di notte, sulla road 28, se la radio passa la canzone giusta, hai la sensazione di essere lanciato in direzione di un mega party, oppure di un confortevole irish pub, dove i tuoi amici stanno per ordinare una bella birra con sopra scritto il tuo nome. Se invece incappi nei deliranti sermoni in fm di qualche predicatore locale, allora rientri mente e corpo nella dolorosa consapevolezza che, in realtà, ti stai mestamente recando al tuo posto di lavoro per presidiare, come un tenente Drogo del nuovo mondo, una fortezza immersa in un deserto verde e selvaggio.
Il viaggio verso il night shift è fatto di voraci sorsi di caffè annacquato e bollente dalla mia tazzona verde in polietilene riciclato, oggetto meraviglioso che si adatta perfettamente alle nicchie porta-bicchieri della Sweet Princess. Il rituale del coffee&pee viene ovviamente espletato anche in questo frangente perché, non appena raggiungo la casetta nel bosco, ancor prima di togliermi la giacca devo andare a svuotare la vescica, grande poco più di quella di una normale Barbie.
Il viaggio verso il bosco è fatto anche di preghiere e scongiuri affinché i Walker Texas Rangers locali non mi fermino per controllare il mio tasso alcolico, allontanando ulteriormente la desiata minzione. Gli scongiuri, in realtà, coprono un'ampia gamma di settori e, generalmente, in circa venti minuti di tragitto, chiedo di non investire nessuna forma di vita, di non azzoppare la Sweet Princess prendendo una della circa diecimila buche della road 28, di non addormentarmi al volante, di non imbattermi nella nebbia fitta come pudding, di non finire nel lago ghiacciato dopo una curva troppo audace, di non incappare in qualche canzone di Enrique Iglésias e, ovviamente, di non espellere sui sedili tutto il caffè che ho precedentemente assorbito.
Quando arrivi al lavoro per fare il famigerato overnight, le colleghe che ti precedono ed alle quali dai il cambio, accolgono il tuo avvento con un misto di sollievo (molto) e di compassione (poca) e, con la tipica cortesia americana, ti invitano a fare in circa cinque secondi netti la pallosissima conta dei narcotici con controfirma, necessaria per evitare che qualche lavoratore nostalgico dei bei tempi di Woodstock voglia sperimentare un trip con le pillole degli utenti.
Il turno di notte consiste, sostanzialmente, nel vegliare come madri più o meno apprensive sul sonno degli utenti e nell'assicurarsi che non muoiano annegati nella loro stessa pipì...e io sono la prima a capire la concretezza di questo rischio! Essendo io paranoica e fobica, controllo circa ogni ora che tutti respirino regolarmente, che nessuno sia rimasto strangolato dai propri calzini (può succedere!), che D. non sia dormendo con i piedi al posto della testa, che L. non cada giù dal letto, che l'umidificatore di A. funzioni correttamente, ecc...
La notte procede a singhiozzo: a volte sembra interminabile, mentre a tratti pare fuggire più veloce di Usain Bolt. Fino alle tre cerco di evitare come la peste di appoggiare le chiappe sul divano e mi invento occupazioni ed attività che mi portano a scoprire importanti documenti dimenticati da tutti, cassetti pieni degli oggetti più strani, piccole e grandi falle nel non proprio efficiente sistema sociale locale. Dalle tre fino alle cinque è un'agonia indicibile perché gli occhi, ormai pieni di orride venette rosse e contornati da tremende occhiaie, non riescono a staccarsi dall'orologio, che sembra rallentare appositamente per prenderti in giro. A seconda del compagno di lavoro, questo tempo di nessuno viene colmato con interessanti chiacchierate sulle unghie acriliche, con una maratona di film americani di quarta categoria sui vampiri (che guardati nel cuore della foresta danno quasi i brividi), con una serie di smadonnamenti circa l'organizzazione statunitense del lavoro, oppure con raccapriccianti documentari sulla scarificazione.
Dopo le cinque, le ore diventano leggere e quasi troppo corte, perché ci sono la doccia, la colazione, le medicine, i letti, la canzone del buongiorno (che io mi ostino a cantare a tutti gli utenti, nonostante riscuota poco successo tra le colleghe).
Il ritorno a casa è contraddistinto da un ibernamento iniziale dovuto alla cronica dimenticanza della preventiva accensione della macchina, dalle solite preghiere di rito, dalla colazione con le banana chips avanzate dalla notte prima e da un piacevolissimo sottofondo di musica country che, abbinato alla vista della montagne catskill baciate dal sole, mi fa sempre venire voglia di comprarmi una camicia di flanella ed una chitarra e guadagnare il pane quotidiano componendo ballate sentimentali, ma al contempo virili, con del Jack Daniel's sempre una mano.
Una settimana di night shift ti piega nel corpo e nello spirito e fa di te un disgustoso zombie che parassita letti e divani (peraltro già parassitati dalle pulci), nonché un essere fotofobico e refrattario a qualsiasi tipo di attività che preveda un vestiario diverso dal pigiama.
Una settimana di night shift mi è bastata ed avanzata e ora spero di essere nella schiera di chi guarda con sollievo e compassione quelli che si apprestano alla veglia notturna.

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