sabato 30 aprile 2011

Routine e muffins beffardi

Le mie giornate americane sono ormai costipate da una solida routine, fatta di gesti ed attività che scandiscono solidamente il tempo. Questo post ha l'ambizione di far credere a chi mi chiede “cosa fai in America?” che non mangio a tradimento il pane a stelle e strisce, che le mie giornate sono piene e che, sostanzialmente, sono impegnata leggermente meno della più attiva broker di Wall Street. In particolare, l'antropologo che volesse studiare la mia settimana, distinguerebbe agilmente tre tipologie di giorni:
Tipo A: giornata poughkeepsiana. La sveglia suona in una fascia oraria che va dalle 5.45 alle 6.15 e il rituale prevede che, ogni cinque minuti, io posticipi l'allarme farfugliando cose incomprensibili (ma tendenzialmente di tenore imprecatorio) in ogni lingua a me nota, sperando che i miei grugniti non sveglino pure il povero Bas. Quindi tento di raggiungere la macchinetta del caffè prima che i miei neuroni realizzino che fuori fa ancora un freddo becco e magari piove, in barba alla primavera. Generalmente, se riesco a bere il caffè prima dell'esame di realtà, tutto procede senza intoppi e la giornata può iniziare decentemente.
Se, invece, entro in contatto visivo col woodchuck dietro casa e lo vedo smadonnare per il clima inclemente prima che la caffeina sia entrata in circolo nel mio corpo, allora mi ci vuole almeno una dozzina di muffins vegan pseudo lievitati ed implosi per raddrizzare la situazione.
Una volta indossati abiti che neanche Cindy Lauper avrebbe osato accostare, afferro la mia mega tazzona verde in polietilene riciclato che, in un inaspettato momento di lucidità, ho riempito di caffè e monto in sella alla mia Sweet Princess, per gettarmi nel traffico mattutino ed attraversare il ponte sull'Hudson, cercando di capire quale corsia imboccare per non morire travolta da un pick-up.
Una volta arrivata al lavoro, non faccio in tempo a scendere dalla Princess che subito vengo fagocitata dal pullmino che trasporta gli utenti da casa al centro diurno e viceversa. A questo punto mi attende un viaggio lunghissimo assieme alla Michele (si scrive proprio così, e lei si lamenta pure di non riuscire mai a trovare dei souvenir col suo nome...), durante il quale generalmente perdo il conto del numero di suoi familiari che incontriamo per le strade di Poughkeepsie.
Una volta arrivati al Day Hab (il centro diurno), le attività che mi vedono impegnata vanno dal fare addizioni e sottrazioni al dipingere quadri cubisti con gli utenti, dal consegnare junk food a pouhgkeepsiani sieropositivi all'andare a mangiare tutti insieme al centro commerciale, dal cercare di mantenere un minimo (minimo!!!) di professionalità al perdere miseramente a carte con gli utenti.
Di pomeriggio, dopo aver attraversato per la millesima volta il ponte sull'Hudson (sperando che la Michele non venga colta, ancora una volta, da un improvviso attacco di panico), posso finalmente risalire in sella alla Sweet Princess ed oltrepassare, ancora una volta, il ponte per fare ritorno a casa e svolgere altre attività formative, come la preparazione di altri muffins mutanti (i primi muffins concavi d'America!), oppure l'autotrascinamento delle mie stanche membra fino alla Planet Fitness, oppure ancora, la visione di uno dei migliori prodotti televisivi autoctoni, che temo sbarcherà presto sul suolo italico: Bad Girls e, ora, anche Bad Girls need love too. Il mercoledì c'è l'avventurosa variante laundry, che talvolta mi permette di assistere a coinvolgenti incontri di wrestling senza pagare il biglietto. La mia lottatrice preferita è una mini-donna cinese che l'altro giorno ha insaccato di botte il suo fidanzato sudamericano dopo una rumorosa disputa circa la dryer machine...girl power!
Tipo B: giornata woodstockiana. Se la manager non ti sveglia con inaspettati messaggi sul cellulare, pregandoti di recarti al lavoro un'ora prima, il sabato e la domenica si aprono gioiosamente intorno alle 9.30, quando dal terzo piano iniziano a riecheggiare per tutta la casa i passi leggiadri della Kamalita che, poco dopo, si palesa al piano mio e di Bas chiamando il mio nome a squarciagola, come per assicurarsi che io sia ancora in vita. A volte mi aspetto di vedermela piombare in camera pronta a togliermi le coperte di dosso come la mia mamma quando non volevo andare a scuola.
Dopo aver fatto colazione con caffè e muffins implosi, dopo aver riempito di caffè acquoso il tazzone verde, dopo aver fatto una dozzina di telefonate via skype, mi avvio verso i boschi con la Kamalita-mobile, non prima di aver chiesto protezione e sostegno a tutte le divinità che si occupano di quattro ruote e aver ripassato mentalmente tutte le clausole della mia assicurazione sanitaria.
La giornata a Woodstock prevede la preparazione di un pasto che contenga, tutte in una volta, le vitamine che gli utenti dovrebbero assumere in una settimana, bagni di sole sul terrazzino per fissare la vitamina d nelle ossa, frequenti docce, orridi telefilm americani da guardare tutti insieme, il trapianto in suolo ostile di girasoli che non cresceranno mai dato il clima, improvvisate lezioni di tamburino con gli utenti e la contemplazione delle nuove unghie acriliche delle colleghe.
Tipo C: days off. Il giovedì ed il venerdì sono i nostri giorni liberi e questo mi porta ogni volta a confonderli col sabato e la domenica, producendo telefonate fuori luogo a persone che penso siano a casa in pantofole, mentre in realtà lavorano. L'attività precipua dei giorni liberi è la diffusione di buone vibrazioni verso il cielo, sperando che da lassù qualcuno la smetta di far piovere nell'unico momento della settimana in cui possiamo fare i fucking tourists. Il più delle volte le vibrazioni non sortiscono nessun effetto e noi siamo costretti a riparare in qualche tristissimo centro commerciale o, molto meglio, nel nostro ristorante indiano di fiducia, dove ormai basta un semplice sguardo affamato per farci portare il “solito” alu phrata (per me vegan, per Kamalita ultra speziato e per Nata con contorno di pane nan).
Quando non andiamo in trasferta, in genere vado al Woodstock Farm Animal Sanctuary a spalare cacca e simili dei gioiosi animaletti che laggiù hanno trovato rifugio e a parlare con gli unici esseri vegan nel giro di trenta miglia.
Ovviamente, i days off se ne volano via troppo velocemente e il venerdì sera un'aria di mestizia e rassegnazione invade la nostra già poco salubre casa, mentre i muffins ogm al cemento, lungi dall'essere un conforto per stranieri depressi, paiono guardarci con un sorriso beffardo.

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