martedì 5 luglio 2011

I lillà non li ho mica visti...

Carla Boni e Gino Latilla sono il principale motivo che mi ha spinta ad attraversare tutto lo stato di New York a bordo di una Dodge rossa con alettone tamarro: sono infatti decadi che mi rode questa smania di sapere come sia 'sta casetta in Canadà, i fiori di lillà e gli altri orpelli barocchi che probabilmente sono stati col tempo aggiunti ad abbellire la suddetta casetta.
Nel viaggio di andata, con il sagace trucchetto della finta gentilezza, ho convinto la Louise (io ero Thelma) a schiacciare una pennichella mentre io ero alla guida...inutile dire che il vero scopo fosse quello di sciacquarmi orecchie e cervello dalla musica discotecara e riportare ossigeno ai miei padiglioni auricolari con un mix di Linkin Park (per sorpassare i camion della Coca Cola), Evanescence (perché il gotico fa sempre bene) e Cranberries (perché comunque la musica la facciamo meglio noi europei). Peccato che, in tempo zero, l'ansia da prestazione dovuta al cambio automatico mi abbia fatto clamorosamente imboccare l'uscita sbagliata, cosa che farebbe rabbrividire anche il camionista più compassato e che potrebbe portare lo sprovveduto pilota ed i suoi familiari a morire sulle spiagge della California, mentre erano in viaggio verso il Colorado. Circa trenta miglia di errori più tardi, però, sfrecciavo gagliarda verso l'Ontario, con un occhio alla strada e dieci alle macchine della polizia.
Se il saggio antropologo decidesse di valutare un popolo dalle guardie doganali delle quali si dota, direbbe che il canadese medio è un tizio abbronzato di mezz'età che non si preoccupa di aver creato una coda chilometrica solo per il gusto di raccontarci quanto gli sia piaciuta l'Italia, mentre invece l'uomo comune statunitense è un giovinastro palestrato che rivolta inutilmente come calzini sporchi i poveri turisti in uscita dal Canada, facendogliela pagare cara per la loro targa del Maine.
Il saggio antropologo potrebbe anche utilizzare gli usi e costumi dei policemen per analizzare le inclinazioni della popolazione: in America nessuno rispetta i limiti di velocità, ma davvero pochi prendono la multa (anzi, il ticket, come se servisse ad andare da qualche parte), a dispetto di tutta la scenografia megalomanica e muscolare dei poliziotti e sceriffi vari; in Canada le macchine della polizia non si vedono quasi e gli agenti, quando si palesano, sono gentili fotomodelli con maniere raffinate. Peccato che poi, zitti zitti, infliggano senza pietà multe salate a turisti con cataratta che non hanno visto qualche microscopico cartello di divieto di sosta...e il risultato è che ci dobbiamo ricordare di pagare trenta dollari canadesi alle forze dell'ordine torontiane per aver parcheggiato la Dodge davanti all'ostello cinese.
Toronto è strana: nessuno l'ha avvisata che sarebbe stato meglio dotarsi di un piano regolatore; nessuno le ha detto che non si possono chiedere due dollari a botta per due striminzite linee metropolitane ed un deposito di 250 per usare le biciclettine municipali; nessuno l'ha avvista che l'eroina non ce la si inietta più per le strade, perché al massimo oggi la si fuma.
Eppure Toronto è uno di quei posti dove vivrei, perché è tremendamente europea, perché è piena zeppa di freak, perché pullula di bar e ristoranti vegan, perché nessuno ti insacca di botte se sei omosessuale, giallo, nero o se assomigli a Fabri Fibra, perché a Little Italy puoi ordinare un espresso vero (anche se noi ci siamo persi a Chinatown molto prima di raggiungere il cuore della parte italiana), perché, anche se la radio locale nella mia lingua natia è orripilante ed il nostro consolato è aperto solo tre ore al giorno, è sempre meglio che vedere il Tricolore tatuato sul sedere cellulitico di una ninfetta americana pseudo-Jersey Shore.
Ma nemmeno il Canada è immune dai tamarri dal momento che, più ci si avvicina al confine con gli Stati Uniti, più si tocca con mano il sostanziale aumento del numero di maranza che si possono incontrare. L'apice si raggiunge alle Niagara Falls, dove un consesso di menti bacate ha imbrattato tutta l'area circostante alle cascate con uno strato di cemento, ricoperto da uno strato di casino/sale gioco/musei delle cere/castelli dell'orrore/ristoranti di ogni genere/fetidi negozi di souvenir made in China/minigolf con dinosauri, ricoperto a sua volta da uno strato di gente probabilmente vomitata dalle peggiori discoteche dei propri paesi. Ma le cascate sono comunque imperdibili e vale la pena tollerare i tamarri per poterle ammirare...ho addirittura visto un nutrito gruppo di famiglie Amish fronteggiare la massa umana dei disco-turisti pur di ammirare la bellezza delle falls!
Il viaggio in terra canadese è staro reso ancora più denso di significato dalla presenza di Nektarios e Athanassios, due amici greci della Nata che si sono dilettati a perfezionare la loro pronuncia della parola “scoiattolo” e che mi hanno insegnato come dare dello stupito con gesto e relativo insulto ellenico a chi mi sorpassa in macchina quando non dovrebbe.
Il ritorno in quel di (fucking) Kingston è stato contrassegnato dalla posa plastica della Nata al volante che, con un piede fuori dal finestrino e l'altro sull'acceleratore, era la miglior pubblicità del cambio automatico, dalla gara ad indovinare peculiarità e tratti somatici degli autisti delle macchine che si superavano (qui in America la scelta dell'automobile è legata alla variante razziale, ma quest'argomento merita un post a parte) e dalla riedizione del “coffe&pee”, cifra stilistica del mio viaggio dal Maine allo stato di New York, questa volta nella versione “iced tea&pee”. Nessuno, infatti, conosce meglio di me i bagni nelle aree di servizio di questo stato!

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