sabato 16 luglio 2011

Perché pagare la Time Warner Cable

La vita in provincia riluce di brio e vivacità. Specialmente di sera.
La misura di quanto ce la si spassi a due ore dalla Grande Mela è data dall'inaspettato e direi quasi imbarazzante successo riscosso dai fuochi d'artificio e dalla (fake) Italian festa.
La sera del fireworks festival qui a Kingston sembrava di essere ad un concerto dei Take That negli anni 90: c'era gente urlante ovunque e trovare parcheggio vicino casa è stato assai più complesso che nel centro di Milano. Le persone che si potevano incrociare durante l'evento non erano affatto comuni, perché la cittadina trasudava individui mai visti nemmeno al Wal Mart e probabilmente usciti per l'occasione dalle proprie nicchie ecologiche sotterranee, belli impomatati e vestiti come per la messa della domenica, tanto sgargianti e rari che avrebbero lasciato basito persino il più saggio dei saggi antropologi capitato per caso a Kingston.
Con l'esperienza abbiamo infatti imparato che i fuochi d'artificio fungono da richiamo per l'americano della provincia che, munito di seggiolina pieghevole, accorre con incomprensibile entusiasmo, muovendo grandi quantità di adipe e sgomitando per avere un posto sul lungofiume, molto prima che il crepuscolo sia calato sul Rondout Creek.
L'agglomerato umano che ti si para davanti per l'occasione ti insegna che l'americano provinciale non è solo il bravo impiegato IBM con moglie e figli biondi a seguito e la stars and stripes appesa fuori casa: i fireworks uniscono tutta la variegata fauna che popola l'Ulster County, mostrandoci gli unici tre punk acneici della contea, seduti di fianco ad un'obesissima signora di colore che nasconde il chihuahua nel generoso décolleté; una madre teenager che insegue il pargolo (tamarro già in fasce) su delle zeppe da danzatrice di lap dance, urlando a squarciagola; cinquantenni tutti tatuati che ingurgitano quantità senza senso di ali di pollo fritte, annaffiandole con orrida birra annacquata, perché – attenzione! - solo durante la festa del paese e i fuochi d'artificio è consentito bere al di fuori dei bar, esibendo con compiacimento lattine e bicchieri, senza bisogno di dover nascondere la sostanza incriminata in sacchetti di carta, dei quali, comunque, tutti conoscono il contenuto.
I fuochi del festival, in realtà, facevano abbastanza pietà, nonostante il buon fuocaiolo abbia tentato di tenere alta la tensione sparandone uno ogni dodici minuti, per circa un'oretta.
L'unico pregio dell'esibizione è consistito nel gigantismo, nel pleonasmo pirotecnico, nella pacchiana opulenza di sbrilluccichii e colori, perché qui in America ogni cosa dev'essere oversize, XXL, iper e, più grande ed appariscente è, meglio è...non importa se il contenuto latiti...
Alla fine del festival, l'americano della provincia si ritira mestamente nella propria dimora, portandosi appresso la famigliola più o meno tatuata e più o meno lap dancer, ed intasando con un traffico mai visto ogni strada di Kingston, anche la più remota e negletta.
Noi, altrettanto mestamente, abbiamo fatto ritorno nel nostro ghetto, sperando, almeno per questa sera, di non assistere a nessuna rissa tra vicini e di non ritrovare nessun preservativo usato sulla nostra tettoia.
Per quanto concerne la (fake) Italian Festa a New Paltz, posso solo dire che il saggio antropologo avrebbe faticato parecchio a trovare anche un minimo briciolo di italianità laggiù, dato che, a parte me e La Babi, le cosa più italiana era una statua di Sant'Antonio made in China e delle sfogliatelle transgeniche, ripiene di una sconosciuta sostanza rosea e gelatinosa.
Il principale problema della provincia è, a mio avviso, il fatto che chiunque tu incontri, giallo, nero, bianco, rosso o marroncino, si vanti di essere italiano, perché nel proprio albero genealogico annovera un antenato nato nel Bel Paese e poco importa se costui sia deceduto un paio di secoli fa, se non si conosca nemmeno mezzo vocabolo di italiano, se l'unica pasta conosciuta sia quella che vendono in lattina da Stop and Shop o se il tatuaggio che si sfoggia vicino all'ombelico riporti una frase sgrammaticata in italiano: l'importante è sentirsi pronti a prendere parte a Jersey Shore da protagonisti!
Siccome l'americano della provincia vuole darsi un tono internazionale, restando comunque ben ancorato alle proprie radici, di fianco a pseudo-calzoni ripieni di pseudo-mozzarella e ad Italian ice variopinto (che non è granita, bensì ghiaccio tritato irrorato con sciroppo chimico) venivano prodotti a quintalate hot dogs e french fries, mentre in sottofondo una band composta da musicisti ottuagenari e da una casalinga del Kentucky come lead vocalist inondava l'area della festa con musica country, sul tema “ti ho amata tanto e ancora ti amo, sebbene tu sia fuggita con un altro cowboy”. L'apice della serata si è raggiunto quando il repertorio country è stato contaminato con quello dei Beach Boys ed è partito un trenino di studenti giapponesi ubriachi marci, che ha messo per un attimo in ombra la coppia di vecchini impegnati in un fox trot riadattato in chiave country.
Da queste poche righe, il saggio antropologo non può che trarre una sola conclusione: la tv via cavo ha salvato generazioni e generazioni di non autoctoni dal supplizio della vita notturna in provincia. Ed è per questo che ogni mese paghiamo senza batter ciglio i 114 dollari di Time Warner Cable, che ci permettono di poter sopravvivere alla movimentata vita notturna all'ombra della City.


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