giovedì 21 luglio 2011

Mai far cadere la bandiera!

Seduta sulla veranda di una casa un po' fatiscente, nella parte peggiore di una delle peggiori vie di Kingston, Genova mi sembra lontana, quasi l'avessi vista in un sogno.
Eppure, a dieci anni di distanza, mi pare che il tempo sia meno pesante di quanto dovrebbe, perché davvero, se chiudo gli occhi, rivedo, vividi e per nulla sbiaditi, le centinaia di fermi immagine di quella lunghissima giornata genovese.
Scatto n°1: l'alba. Sono io che arranco, con ancora il cuscino stampato in faccia, verso la fermata del pullman che mi porterà a Milano, perché vivo ancora in provincia di Como. Indosso un'orrida maglietta della Onyx, per la quale il Bado mi sbeffeggia ancora a distanza di una decade...a mia discolpa, posso dire che, come al solito, avevo dimenticato di fare il bucato e non c'era nient'altro di pulito.
Scatto n°2: il Biasoli che mi guarda con la faccia pallida pallida. Siamo in viaggio sul treno Milano-Genova. Fa caldo e si va lenti. Con la testa fuori dal finestrino, cerchiamo di capire dove siamo.
Si scherza e si inveisce contro le ferrovie italiane, ma tutti, in realtà, si ha una fottuta paura dello scenario da guerriglia urbana che ci aspetta. Veniamo in pace, mi dico, quindi siamo tranquilli.
Ma perché non ho portato l'elmetto che il giorno prima qualche amico voleva rifilarmi?
Scatto n°3: la folla. Arrivati a Genova, una folla immensa, colorata, chiassosa sta invadendo i vicoli della città. Noi siamo felici di essere arrivati e il Biasoli mi pare meno pallido. La gente sorride e noi sorridiamo di rimando, mentre dai balconi anziani pensionati salutano e gettano acqua per rinfrescare i manifestanti nel caldo torrido dell'estate genovese.
Scatto n°4: la bandiera per terra. Ci rimproverano perché la bandiera non si fa mai cadere, anche se stai scappando a gambe levate, anche se le mani ti tremano dalla paura e negli occhi hai solo la disperata ricerca della via di fuga migliore. Ma perché scappiamo? Ricordo polizia ovunque, gente che grida, gente che corre, gente che cade ed una signora con la testa piena di sangue: a quanto pare, i manganelli se ne fregano delle casalinghe sessantenni.
Noi, per paura di una carica, abbiamo iniziato a correre e da allora so perfettamente come si sente un branco di zebre o gazzelle quando un predatore irrompe nelle ampie distese della savana. Vengo in pace, io, ma forse non interessa quaggiù. La bandiera l'abbiamo fatta cadere perché ci ostacola la fuga, ma la prossima volta la terremo più alta, di modo che i predatori sappiano bene chi siamo e che, come dicono quaggiù, non siamo chickenshit, cioè dei codardi.
Scatto n°5: i black block. Genova è blindata, nessuno può introdurre veicoli di nessun tipo, ma ecco spuntare un furgoncino dei famigerati black block. Chi li ha fatti passare? Quello che sta succedendo è chiaro e cristallino: la folla isola i violenti, ma loro hanno accesso al cuore della manifestazione. Io vengo in pace e non voglio che le mie ragioni vengano lordate dai loro sanpietrini e dai loro distintivi ben nascosti nei portafogli.
Scatto n°6: elicotteri sopra, mare a destra, montagne con cecchini a sinistra, asfalto bollente sotto ai piedi. Niente vie di fuga. Qualche giorno fa, ho letto che un amico, a distanza di anni, ogni volta che sente un elicottero volare basso inizia a percepire la paura salirgli dalle punta delle dita ed arrivare dritta al petto. Del resto, per mesi ho sobbalzato alla vista di un poliziotto e, se potevo, cambiavo strada. La mano che abbiamo armato per proteggerci è la stessa mano che ci ha massacrati a Genova.
Scatto n°7: ancora lo scompartimento di un treno. Si torna a casa! Abbiamo la nostra bandiera, non le abbiamo prese, abbiamo cantato, ballato e gridato che la gente vuole farsi sentire, che non si può calpestare i diritti dei più deboli nel silenzio generale, che questo globo accidentato e disperso nell'universo non può restare per sempre in balia di un manipolo di prepotenti. Siamo felici.
Scatto n°8: l'autoradio. Torniamo in macchina dalla stazione centrale di Milano e alla radio raccontano quello che sta succedendo alla scuola Diaz. Mi viene da piangere.
Ci hanno lasciati tornare a casa, ci hanno fatto svuotare le strade e le piazze dei nostri colori per poter agire indisturbati, perché non ci fossero occhi indiscreti che li vedessero ridipingere col sangue le pareti della Diaz, né orecchie che sentissero i lamenti delle persone rinchiuse a Bolzaneto.
Un immenso senso di impotenza, di ingiustizia, di rabbia invade l'abitacolo della macchina.
Mia madre mi chiama per assicurarsi che io non sia laggiù, nell'inferno di Genova. In questo stesso momento, quante altre madri staranno chiamando, invano, cellulari dispersi tra cocci di vetro e chiazze di sangue?
Il giorno dopo, nessuno parla davanti alle immagini delle persone torturate, massacrate. E io penso: quei poliziotti che hanno spaccato teste ed ossa di persone inermi, cosa avranno mai raccontato alla famiglia, al ritorno dal lavoro?
A distanza di dieci anni i sentimenti non sono cambiati e, se ripenso alla casalinga manganellata, mi vengono ancora i lucciconi agli occhi. Ma ho fatto progressi, perché da allora corro più veloce, non ho mai più fatto cadere una bandiera e, nonostante quell'orrore e quella violenza, il mio vessillo è sempre dipinto con i colori della pace.

3 commenti:

  1. un ricordo leggermente piu annebbiato il mio:
    il fumo...l'elicottero...il..​fumo...l'elicottero...gli spari...il fumo e sempre questo cazzo di elicottero... la gente corre.. un ragazzo a terra e si rialza..corre.Il fumo... e poi l'acqua.. si perche faceva anche caldo e allora acqua... e dal fumo e dall'acqua una ragazza, tranquilla, cammina, per lei niente fumo spari elicottero, ma acqua.. e via continua a camminare... argh ci ho anche parlato ma non no ricordo ne nome ne voce.. solo che cammina tranquilla e i capelli bagnati gocciolano per terra... e poi via.. correre. il fumo.. gli spari.. l'elicottero... le urla.
    Potra essere anche stato un sogno ma quelli sparavano e massacravano.

    RispondiElimina
  2. gli elicotteri non me li dimenticherò mai, nè i poliziotti che marciavano picchiando i manganelli ritmicamente sugli scudi, gli autoblindo a 100 all'ora per le strade di Genova, la scarica di lacrimogeni che ci ha fatto allontanare dal resto della manifestazione e un piccolo gruppetto di persone che non si conoscevano che giravano strette strette sperse per i carrugi di Genova sperando di non incontrare i poliziotti in divisa o meno. Poi il venerdì sera bloccati in piazzale Kennedy con i compagni che dicevano di non muoverci di lì e gli elicotteri bassissimi e ancora prima bloccati in non mi ricordo che piazza con le notizie degli scontri e dell'omicidio che trapelavano e noi che non sapevamo che fare. E gli elicotteri bassi, bassissimi, non li dimenticherò mai, mai

    RispondiElimina