giovedì 20 ottobre 2011

Occupy Wall Street

Domenica scorsa ho deciso di evadere dalla provincia americana, tutta immersa nei preparativi per Halloween, e di fare una capatina nella City. A meno di due ore da Poughkeepsie, ecco dispiegarsi la classica, ventosa, luminosa domenica mattina di ottobre a New York: Manhattan è popolata da turisti armati di cartine spiegazzate dal vento autunnale; da newyorkesi fighetti intenti a fare jogging tra auto parcheggiate con fantasia e yellow cabs lanciate, come sempre, a folle velocità; da signore dotate di borsa porta-teacup dog (Louis Vuitton, of course) e da donnoni fasciati da improbabili tutine rosa, in marcia per la corsa della breast cancer awareness. Io decido di mischiarmi a questa multiforme umanità e, lottando contro il vento contrario, mi sparo a piedi dalla Quarantaduesima strada al Financial District, con strategiche fermate a Union Square (per mangiare un pacchetto di patatine seduta su di una panchina) e al Washinghton Square park (per mangiare un altro pacchetto di patatine su di un'altra panchina).
Prima di raggiungere Wall Street, la città sembra la solita Grande Mela di sempre: tra SoHo e NoLita gruppi di giovani radical chic e hipsters affollano con costruita grazia i marciapiedi di bar sofisticati, celebrando il rito del brunch; in un campetto recintato, un padre belloccio lancia la palla da baseball al figlioletto biondiccio, il quale fa di tutto per prenderla col classico guantone, per rendere il padre orgoglioso; negli autolavaggi gestiti da messicani vengono alacremente incerati macchinoni che difficilmente troveranno un parcheggio pubblico a Manhattan e limousine di qualche riccone esibizionista.
Poi, un poco per volta ed inaspettatamente, inizia a fare capolino il popolo dei 99%: colorati, rumorosi, vivi. Niente borse Louis Vuitton. Niente teacup dogs. Niente brunch. Niente limousine.
Quando finalmente arrivo allo Zuccotti Park, mi si para davanti uno spettacolo che difficilmente si vede quaggiù: centinaia di persone occupano la graziosa piazzetta, dove sono accampate da giorni. Tutt'intorno, poliziotti annoiati e scocciati per la domenica trascorsa a transennare quella che in molti catalogano come un'orda di giovani fattoni e vecchio ciarpame del '68, invitano i passanti a lasciare libero almeno il marciapiede, ma in pochi sembrano dar loro retta.
Pare incredibile, ma Wall Street è occupata. Materassi, sacchi a pelo e giacigli improvvisati ricoprono l'asfalto dello Zuccotti Park; qua e là punk e hippies vecchi e nuovi schiacciano un pisolino per riacquistare le forze; sulle scalinate, un manipolo cristiano canta “We shall overcome” e “Going to the river”, con un prete belloccio ed una donna prete cicciottella come lead singers; cuochi vegetariani spignattano in un'improvvisata cucina da campo, mentre un gruppo di tibetani suona e canta chiedendo di dirottare i soldi da inutili guerre “umanitarie” alla difesa dei diritti umani; più in là, due sessantenni improvvisano pezzi rock con un paio di chitarre acustiche e degli artisti di strada stanno rappresentando un pezzo sullo sfruttamento; al banchetto contro gli ogm si possono raccogliere informazioni sui misfatti della Monsanto, mentre una ragazza seduta su un vecchio tappeto promuove i software open source.
Nella stretta superficie dello Zuccotti Park si fa fatica a muoversi, tanta è la gente, e il clima che si respira è un insolito miscuglio di festa, rabbia e voglia di cambiamento.
Credo che per molte delle persone presenti si tratti della prima manifestazione alla quale prendono parte in tutta la propria vita. Probabilmente, nel corso degli anni, hanno assistito a mobilitazioni contro la pena di morte, contro le trivellazioni petrolifere in Alaska, contro la guerra in Iraq e contro altre delle migliaia di scelleratezze che questo paese partorisce alla velocità della luce. Hanno sempre assistito senza partecipare, guardando i manifestanti dall'altra parte della strada, dall'altra parte delle transenne. Ora che la crisi sta toccando più o meno ogni cittadino americano, travolgendo uno stile di vita basato essenzialmente sul consumo sfrenato di ogni sorta di bene e sulla totale mancanza di preoccupazione per il futuro (del resto, chi pensava di svegliarsi dal sogno americano?), ci si ricorda di essere il 99% e si dimentica facilmente che, fino a pochi anni fa, si desiderava semplicemente imitare quel tanto vituperato 1%.
Eppure, l'energia che satura questa piazzetta mi fa quasi (quasi!) lasciare da parte il mio senso critico, per ammirare quella che è probabilmente la migliore dote di questo popolo: l'entusiasmo. Gli americani, nel bene e nel male, sono come bambini entusiasti.
Dopo aver respirato un po' di energie rivoluzionare, mi trascino fino a Battery Park e sonnecchio cinque minuti su una panchina di legno, mentre il tramonto colora di rosso la Statua della Libertà. Tutt'intorno, famiglie ebree appena uscite dalle sinagoghe si godono la brezza del tardo pomeriggio e le ultime ore della festa dello Sukkot.
Quando inizia a fare buio, mi metto in marcia e copro a tempo di record la distanza tra Bowling Green e Grand Central, per immettermi nel flusso dei provinciali che tornano a casa.
Ma quant'è triste la provincia dopo aver respirato l'aria di Wall Street occupata!

1 commento:

  1. ciao Laura,

    non ci conosciamo..mi chiamo Luca, e ho trovato il tuo blog sul sito del B.O.AT., a cui ho appena mandato la mia candidatura per lo stesso stage in USA che stai vivendo tu. Spero davvero di venire scelto, ma allo stesso tempo ho mille dubbi, ed ho pensato di chiedere qualche informazione a chi quest'esperienza la sta vivendo di persona.
    Spero che non ti scocci che ti abbia scritto qui, ma nel tuo profilo non ho trovato la tua mail..
    p.s. il tuo blog è davvero molto bello! :)
    Se ti va di aiutarmi, ti lascio la mia mail: lucf105@yahoo.it
    In bocca la lupo per tutto!
    Luca

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