domenica 20 febbraio 2011

Chiedi ai coccodrilli albini

L'ARRIVO. Quando apri gli occhi e ti rendi conto di essere sull'Harlem Bridge, la vista di tutto quel bellissimo, commovente, attesissimo cemento ti dà una sensazione struggente e ti porta addirittura a dimenticare la levataccia alle 5 di mattina, la paura del contagio da pulci in ambienti ristretti, la musica tamarra che i miei fucking roommates pseudo-adolescenti mi hanno propinato per quasi tre ore e, addirittura, la sindrome da schiacciamento dovuta alla presenza di un olandese di due metri seduto nel sedile di fronte.
New York è bella.
New York è come essere costantemente in un episodio di Spiderman.
New York è un film e la realtà attorno perde di consistenza, diventa eterea: solo i bar di Friends, le boutiques di Sex and the City, le strade di CSI sono reali.
New York è caotica, ma poco più di una Milano alle sei di sera.
L'arrivo è elettricità pura.

I COLORI. New York è nera come il cuore dell'Africa, ma solo a tratti. Nel Queens, dove si trovano sia il nostro albergo che la sede dove avremo lezione, siamo gli unici palliducci sulla piazza.
Siamo anche gli unici a non indossare una parruccona con boccoli degni di una Shirley Temple di colore, a non avere unghia acriliche lunghe dai cinque centimetri in su e colorate che neanche dei murales cileni, a non camminare come se fossimo costantemente in un video di Puff Daddy e a non ricettare parti di Dodge tutte arrugginite.
New York sa anche essere bianca più del mio latte di soya Wal Mart ogm e se dal Queens ti muovi nella subway verso Manhattan, puoi renderti conto di come la fauna umana cambi a seconda della geografia.
Chinatown aggiunge alla tavolozza della città una vasta gamma di sfumature del giallo, il tutto condito con gli effluvi emananti dai ristoranti più a buon mercato di tutta NY.
Parallelamente al fenomeno cromatico, l'attento antropologo noterà anche un consistente abbassamento del peso medio della gente ed un progressivo slittamento dalla moda hip hop a quella radical chic.

LE LINGUE. New York è una torre di babele che ti shakera i neuroni senza pietà. Bisogna farsi attraversare dal flusso di idiomi cercando di trattenere il necessario per la sopravvivenza.
Alla fine ce la si fa, ma nella teca cranica albergano vocaboli multicolore in almeno 3 lingue diverse: inglese, spagnolo e italiano.
Il saggio antropologo sa che ciascuno ama dialogare nel proprio idioma, ma a NY chi più di tutti si gode il sapore dell'esprimersi nella lingua natia sono i latinos. Ne sono un esempio i miei negozianti preferiti (nonché dispensatori di caffè con azúcar, pero sin leche), un simpatico trio messicano con tanto di gatta in calore pronta a farsi le unghie sulle scorte di cibo della bottega, in barba a tutte le norme igienico sanitarie. Avreste dovuto vedere come gli si sono illuminati gli occhi la prima volta che mi sono rivolta loro in spagnolo...e poco importa se era per dire che sono una cippa in fatto di salsa e merengue, nonostante abbia preso lezioni su lezioni.

YELLOW CABS. Guizzano come anguille nella caotica NY, attraversando i famosi getti di vapore sputati dai tombini, dribblando ambulanze, macchine e persino qualche impavido ciclista, facendo finta che nella city sia in vigore una moratoria circa i limiti di velocità.
Le yellow cabs sono anche utilizzabili dall'attento antropologo come indicatore delle capacità di adattamento di una popolazione. E in questo pare che i russi non abbiano nulla da invidiare a nessuno: il nostro tassista, catapultato nella Grande Mela direttamente dall'Unione Sovietica, conosce le strade tanto bene da non avere nemmeno bisogno di guardarle! Dopo averci stipati in circa 8000 sul suo potente veicolo, ci ha portati sani e salvi all'hotel, cercando un improbabile canale di comunicazione col nostro compare olandese. Pare che l'inglese non si sia prestato troppo bene allo scopo, ma forse nel tragitto ha preso forma un dialetto comune, come la koinè o simili.

I COCCODRILLI NELLE FOGNE. Pur non avendone incrociato nessuno, ne sentivo distintamente la presenza nel sottosuolo. Dopo i tassisti russi, i coccodrilli albini sono gli esseri più ferrati in newyorkologia, geograficamente parlando.
Ovviamente, il loro punto di vista è piuttosto sotterraneo, perciò ignorano a che altezza della sesta strada si trovi il Forever 21, o in quale negozio convenga comprare la tazzetta con sopra scritto “I love NY”. Ma affidatevi a loro senza timori in materia di subway o di idraulica.

LE PULCI. Non importa a che ora tu ti sia alzato, quanto tu corra veloce, di quante lozioni a base di napalm tu ti sia cosparso o per quante ore tu abbia tenuto le tue mutande nel freezer: se sei un baldo giovane spilungone olandese, le pulci ti seguiranno ovunque.
Anche nella Grande Mela.
Senza pietà.

L'E-BOOK. Devi averlo. Se vai a New York e ti azzardi ad utilizzare un supporto cartaceo, sei fuori. Se, in metropolitana o sull'autobus, sei talmente tracotante da sfogliare un libro, vedrai occhi tracimanti disapprovazione accanirsi su di te. E quelli più carichi di disprezzo apparterranno sicuramente alla vecchina di colore che sta leggendo la e-Bibbia proprio di fianco a te.

PARIS HILTON. A lungo attesa, non si è mai palesata presso il nostro hotel, sebbene anch'esso appartenga alla sua famiglia. In ogni caso, la sua presenza glamour e un po' piccante aleggiava per ogni angolo dell'albergo, tanto che potevi immaginartela puntare l'indice di condanna e arricciare il naso in segno di disgusto di fronte all'improbabile tubino di ciniglia fucsia di un'ospite.

LE LUCI. La città non dorme mai e non ha nemmeno il segno di mezza occhiaia.
Al calar della sera, tutto si illumina, non in modo osceno o pacchiano, ma con classe, piano piano e mai chiassosamente. Come disse il saggio Bas, a NY vorresti avere più occhi, specialmente se ti trovi sul ponte di Brooklyn quando il buio inizia ad incorniciare grattacieli e chiese. Le luci qui sembrano parlare, ma in modo vellutato, per non disturbare il rombo della traffic jam all'ora di punta.
A Times Square, invece, le luci gorgheggiano come adolescenti il sabato pomeriggio e potete chiedere conferme fotografiche a Kamala: lei ha circa un milione di scatti della celebre scalinata.

LA PARTENZA. Da New York te ne vai sottovoce, quasi vergognandoti per la mancanza di educazione. Vorresti salutarla meglio, con più calore, con meno pulci, ma già sai che ci tornerai a breve. Il saluto alla Mela è comunque lungo e a tratti assomiglia ad un'agonia: l'ingorgo di macchine del venerdì sera me lo fanno digerire a suon di musica tamarra e cibo indiano e l'arrivederci ha il sapore del cumino misto a smog.

Nessun commento:

Posta un commento