sabato 5 febbraio 2011

Coffee&pee

Quanto caffè americano può essere inserito (non importa come) in un corpo umano (ma non americano) senza che questo ne rimanga in qualche modo offeso, ricavandone danni permanenti?
Onestamente, credo che il mio organismo prima o poi svilupperà strane mutazioni dovute alle quantità colossali di brodaglia primordiale con caffeina che ieri ho dovuto ingurgitare per non soccombere alla stanchezza e poter portare le chiappe cromate della Sweet Princess qui a casa nello stato di NY. I 600 chilometri di higway dal Maine a Kingston mi hanno fatta piombare in una sorta di realtà parallela, costituita perlopiù da crampi alle braccia e alla gamba destra, allucinazioni a sfondo mistico, ma anche trash (vicino a Portland, mi pare di avere incrociato gli Abba che facevano l'autostop), cibo mangiato lanciandolo al volo, patetici tentativi di training autogeno in inglese e italiano, bicchieri plasticosi di caffè annacquato.
Ed è proprio il caffè che devo ringraziare per quello che sono oggi: una persona con una casa nello stato di NY e, in ogni caso, una persona che non è svenuta all'ottava ora di guida.
Al quarto bicchierozzo ho perso il conto, quindi non saprei dire quanta energia-caffeina un italiano medio possa ricavare da un litro di caffè americano, ma sono assolutamente in grado di consigliare un preventivo inserimento di catetere se si ha in programma un lungo viaggio in macchina negli States e si vuole evitare di finire nella spirale del “coffee&pee”.
Il sistema funziona così: al primo bicchiere da mezzo litro senti di avere il mondo in pugno e guidi per un'oretta canticchiando ogni schifezza che passa la radio, ma improvvisamente ti accorgi di avere una vescica che reclama un po' di luci della ribalta ed è esattamente qui che ti rendi conto di avere attivato il perverso meccanismo che, caffè dopo caffè, area di servizio dopo area di servizio, ti rende schiavo dei cessi dei fast food e dela brodaglia caffeosa. Se, da una parte, questa condizione da tossicomane incontinente fa di te un essere per molti versi miserabile, dall'altra ti permette di raccogliere interessante materiale per un trattato antropologico sulla fauna umana che le highway vomitano e reingurgitano nelle aree di servizio e ai margini delle uscite.
La mia tipologia preferita è l'inserviente dei fast food sulla trentina che, frustrato dal puzzo di fritto e dalla capa tiranna e un po' stronza, riesce comunque a preservare la propria indole mansueta e gentile, anche se dovrebbe in genere curare di più la propria igiene orale.
Ho molto apprezzato anche anche il tipico benzinaio del Massachusetts, che sa unire alla rude forza del boscaiolo mormone un'inaspettata pazienza verso lo straniero sperduto e incapace di usare la gas pomp.
Vanno menzionate pure le seguenti categorie: mamme “proud” del figlioletto/a che nei bagni del fast food è riuscito a centrare il cesso, maniaci sessuali in pensione che attendono invano sexy turiste che mai passeranno da lì e casalinghe sovrappeso che vanno a trovare i parenti ad Augusta.
Ora che sono comodamente seduta in una villetta a tre piani senza serratura alla porta (a che serve?), in un paese che ha più chiese che abitanti, dove l'attrazione finora più significativa sembra essere Beppe's Cucina...ecco, ora rimpiango un po' quella vertigine dell'essere on the road, lanciati su di una Plymouth purple verso NY, con il nulla alle spalle e il nuovo mondo lì ad attenderti, alla fine della highway.

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