domenica 27 febbraio 2011

Una poltrona un po' bizzarra

Ho ancora il mio scalpo e, per ora, nessuno ha ancora esercitato le proprie doti urinarie a mio discapito. Ciò significa che sono una professionista più che qualificata per operare con utenti disabili.
Presto servizio, se così si può dire, in una casetta di legno dispersa nel bosco, nel paese più hippie della storia: Woodstock.
Per raggiungere il posto di lavoro devo affrontare una serie di prove degne di un corso di sopravvivenza: indirizzare la coinquilina nepalese nel giusto senso di marcia, evitare di finire incagliati tra i cumuli di neve o di venire travolti dai mega pick-up spazzaneve, schivare cervi, orsi, scoiattoli e puzzole aspiranti suicidi, non dare credito al gps quando dice di girare in strade che non esistono.
Una volta raggiunto il posto di lavoro, le sfide sono altre. A volte penso di non farcela, mentre altre mi pare di aver quasi la situazione in pugno. Innanzitutto, devo fornire molteplici e sempre diverse spiegazioni al fatto che non ho, non voglio e mai vorrò dei figli: tutte le colleghe ne hanno uno o più, in genere portatori di nomi agghiaccianti tratti da popolari tv shows e tutte non perdono occasione per fare facce stupite di fronte al volontario spreco di utero e ovaie che il Signore mi ha dato in dono. Oggi, ad esempio, da una mia incosciente domanda sull'uso dei pannolini, si è scatenato un feroce e crudele bombardamento inquisitorio sulla mia personale avversione alla maternità. E pensare che volevo solo sapere se esistesse un “davanti” ed un “di dietro” nei pannoloni!
Altre sfide sono relative al lavoro in sé e, in particolare, alla parte fisica di esso. Occuparsi di persone quasi totalmente incapaci di muoversi implica l'avere a che fare con tutto ciò che il corpo umano produce (a volte anche troppo copiosamente) e il doversi confrontare con inclementi leggi della fisica, prima fra tutte la gravità.
A volte mi sento come il ragazzo dal kimono d'oro, cioè un neofito, nonché una cippa totale, nelle antiche arti infermieristiche e Kamala è il maestro Kimura, perché a lei è stato affidato dagli dei l'ingrato compito di insegnare l'antica arte del sollevare persone che pesano circa il doppio.
Un'altra dura prova consiste nel fronteggiare l'ermetismo statunitense. Nessuno (tranne pochi esseri illuminati) ti dice cosa devi fare, come devi farlo e quando. Lo devi dedurre tu con l'aruspicina, con l'interpretazione dei sogni, oppure con quella del volo del picchio dell'east coast. Io, personalmente, ho deciso di affidarmi alla lettura delle striature sul tofu: è di gran lunga il metodo più affidabile!
La sfida più ardua in assoluto è però trovare adeguati canali di comunicazione con gli utenti.
Parlare senza parole è qualcosa di duro come la pietra e a volte troppo difficile da accettare. Ma l'afasia non deve scoraggiare e il ritardo mentale è un muro troppo esile per non permetterci di vedere, in tutta la sua forza e bellezza, l'essere umano che si nasconde là dietro.
Piano piano imparo a leggere i corpi e i suoni e lentamente facciamo progressi.
A. è l'unica in grado di camminare ed è anche una fantastica ballerina. Vuole sempre incrociare il suo mignolo al mio, in segno di affetto e credo mi voglio bene, nonostante l'altro giorno le abbia messo lo smalto peggio di quanto potrebbe fare una scimmietta ubriaca.
A.C. è un uomo bellissimo, ma non cammina, non parla e non vede. Anche se le mie colleghe cono convinte del contrario e, giorno dopo giorno, me ne sto convincendo anch'io, tanta è l'intensità con la quale ti guarda a volte. Ama la musica e, in particolare, adora il suo tamburello e quando lo suoni ti senti quasi come il pifferaio magico, tale è l'effetto che ha su di lui. A. adora afferrare ogni cosa che gli capiti a tiro, compresi i capelli della sottoscritta. L'increscioso accaduto risale a ieri quando, distratta dal difficile compito di togliergli le scarpe, mi sono dimenticata degli scherzetti che gioca e ho salvato lo scalpo solo grazie al pronto intervento di Kamala e Norma.
H. sorride spesso, soprattutto quando entri nella stanza dove si trova, ma è anche un duro: sa esattamente cosa vuole e non c'è verso di fargli mangiare del cibo che non sia di suo gradimento. H è anche il più leggero di tutti, perciò ho qualche speranza di riuscire a sollevarlo, someday.
D. ha gli occhi più grandi della terra e quando ride ti si scioglie il cuore. Non si muove e non vede nulla, ma batte le mani a ritmo se gli canto una stupida canzoncina da me appositamente inventata e principalmente basata sulla ritmica ripetizione del suo nome. Oggi l'ho fatto sghignazzare un po' facendo finta di non trovarlo e chiedendo a tutti gli altri utenti dove fosse D. Quando alla fine ho simulato stupore per il suo ritrovamento, D. era felice come una pasqua.
L. è una donnona che ha circa l'età di mia madre, ma in realtà è una bambina gentilissima che ti ripete di continuo “I love you” e “You're a pretty nice girl” e guai a chi non le risponde.
L. è l'unica ad avere qualcuno che, ogni tanto, telefoni per sapere come sta. Per tutti gli altri il telefono non suona mai e il giorno delle visite è cosa sconosciuta. Sono esseri difettosi che nessuno reclama. Sono fratelli, sorelle, figli, cugini o zii che non compaiono in nessun ritratto di famiglia.
A volte mi chiedo se, ogni tanto, anche solo una volta all'anno, qualche parente pensi a loro.
A questi smemorati dico “hey gente, non sapete che vi perdete!”. Passare del tempo qui a Woodstock a cantare canzoncine stonate e suonare senza posa tamburelli di legno fa sentire parte di una famiglia nuova, calda e accogliente, e la casa nel bosco è un rifugio pieno di risate, dove la sedia a rotelle è solo una poltrona un po' bizzarra.

1 commento:

  1. Sorellina non preoccuparti se quei grossi e cattivi americani ti sgridano perché non utilizzi appropriatamente il tuo utero, ecco un link che ti può' aiutare!
    http://www.giovani.it/sesso/anatomia/esercizi3.php

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